E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in relazione agli artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 Cost. nella parte in cui prevede che dalla data in cui è deliberato il dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’art. 256 dello stesso testo unico i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria.
Ha chiarito la Sezione che con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, da ultimo livello di governo e del decentramento amministrativo, i Comuni hanno visto riconosciuta in modo pieno la loro posizione di ente pubblico territoriale di base, esponenziale delle comunità locali, in attuazione del principio fondamentale del pluralismo autonomistico espresso dall’art. 5 Cost. («La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali»), a sua volta basato sul substrato storico-sociale del Comune quale ente radicato per plurisecolare tradizione nell’organizzazione pubblica territoriale. Con la riforma del 2001 è stato quindi attribuito ai Comuni il compito di soddisfare in via primaria gli interessi dei cittadini, secondo il principio di sussidiarietà verticale, in un rinnovato contesto ordinamentale che pur nel permanere di un modello di finanza pubblica locale “derivata” dallo Stato è contraddistinto da una maggiore autonomia finanziaria dell’ente locale sul versante tanto delle entrate quanto delle spese, ancorché vincolato a tutti i livelli di spesa dal rispetto dell’equilibrio dei bilanci pubblici per il raggiungimento degli obiettivi derivanti dalla partecipazione della Repubblica all’Unione europea (artt. 114, 118 e 119 Cost.).
Con specifico riguardo al dissesto finanziario degli enti locali, sin dalla sua introduzione nell’ordinamento giuridico (art. 25, d.l. 2 marzo 1989, n. 66, Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale; convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 1989, n. 144), l’evoluzione normativa dell’istituto si è connotata per la primaria esigenza di risanamento gli enti locali non in grado di onorare il servizio del debito attraverso la propria capacità di autofinanziamento e quindi di svolgere le funzioni ed i servizi pubblici di loro competenza.
Nell’ambito del carattere derivato della finanza degli enti locali l’obiettivo del risanamento si è manifestato con la previsione di un intervento finanziario dello Stato (mutuo presso la Cassa depositi e prestiti con onere a totale carico dello Stato stesso, erogabile attraverso anticipazioni di liquidità secondo interventi normativi successivi), in concorrenza con misure sul piano delle entrate e delle spese di competenza dello stesso ente locale, intese all’aumento delle prime e alla riduzione delle seconde, oltre che sulla consistenza organica dell’ente.
In questa prospettiva, con un primo significativo intervento normativo riformatore dell’istituto, con l’art. 21, d.l. 18 gennaio 1993, n. 8 (recante: Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68), si è introdotta una separazione tra la nuova gestione, di competenza dell’ente destinato ad essere risanato una volta rimossi in modo permanente gli squilibri di bilancio che hanno condotto al dissesto, e quella passata, affidata ad un organo straordinario di liquidazione di nomina governativa con il compito di accertare e liquidare l’indebitamento.
A base della descritta separazione si era posta l’esigenza di assicurare massima certezza ed una maggiore rapidità nella soddisfazione del ceto creditorio dell’ente locale, nei confronti dei quali era posta la regola dalla sospensione delle azioni esecutive a tutela dei loro diritti, in conformità ad un principio ordinatore di carattere concorsuale. Con la medesima separazione tra le attività finalizzate al risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva il dissesto ha assunto una fisionomia analoga al fallimento privatistico.
Essa si è ulteriormente accentuata con l’introduzione di limiti al contributo dello Stato per il pagamento dell’indebitamento pregresso in rapporto alla popolazione dell’ente dissestato (artt. 4 e 21, d.l. n. 8 del 1993), da cui è derivata la possibilità che in caso di incapienza della massa attiva – destinata ad essere formata anche attraverso l’alienazione dei beni patrimoniali disponibili dell’ente – i crediti facenti parte della massa passiva subissero una falcidia percentuale;
Di qui corollario per cui la parte del credito insoluta era destinata a gravare nuovamente sull’ente locale tornato in bonis, e dunque dell’effetto solo temporaneo, di carattere sospensivo, del blocco del decorsi degli accessori del credito, ancorato alla chiusura della gestione dell’organo di liquidazione.
Il processo di omologazione tra dissesto degli enti locali e fallimento privatistico si è poi accentuato con i successivi interventi normativi, realizzati con il già citato d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali) e il relativo decreto correttivo (d.lgs. 11 giugno 1996, n. 336), con i quali si sono tra l’altro introdotte delle cause di prelazione dei crediti e si è previsto che l’organo straordinario di liquidazione predisponga un primo piano di rilevazione dei debiti recante l’elenco di quelli esclusi dalla massa passiva della procedura, strumentale all’erogazione del mutuo con la Cassa depositi e prestiti e il pagamento in acconto dei debiti inseriti nel piano di rilevazione.
Con le caratteristiche finora sommariamente tratteggiate, espressive del bilanciamento a livello normativo tra la necessità, da un lato, di ripristinare la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni e i servizi indispensabili per la comunità locale, e dall’altro lato di tutelare i creditori, il dissesto finanziario è stato infine trasfuso nel Testo unico sull’ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs 18 agosto 2000, n. 267.
Sotto il profilo della tutela dei creditori deve peraltro segnalarsi che l’attività contrattuale della pubblica amministrazione è stata assoggettata alla normativa sul contrasto ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, di cui al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), in particolare per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192 – Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180).
Il dissesto finanziario degli enti locali si colloca quindi all’interno dell’antitesi Stato-mercato.
Per la copertura del disavanzo dell’ente locale e per il suo risanamento è previsto un intervento sia pure non illimitato dello Stato, con funzione tipica di “pagatore di ultima istanza” all’interno del sistema di finanza pubblica che da esso promana; a ciò si contrappone un regime dei debiti commerciali dell’ente locale proprio delle transazioni tra imprese, in cui non sono ordinariamente previsti interventi di sostegno pubblico contro l’insolvenza e nel quale, pertanto, la remunerazione dei crediti attraverso gli interessi di mora ai sensi del citato d.lgs. n. 231 del 2002 ne rifletto il relativo rischio.
Al medesimo riguardo, nel contrapposto ambito della finanza pubblica e del dissesto degli enti locali è ammessa l’ipotesi che l’intervento dello Stato possa non essere sufficiente, ed infatti l’art. 256, comma 12, T.u.e.l. prevede che in caso di massa attiva incapiente, tale «da compromettere il risanamento dell’ente» il Ministro dell’interno «può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti», in questo caso senza tuttavia oneri a carico dello Stato;
tuttavia, la disposizione ora richiamata, introdotta nel 2016, include tra le misure straordinarie in questione la possibilità che l’ente locale acceda alla «procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’articolo 243-bis», contraddistinta dall’incapacità solo temporanea di fare fronte al servizio del debito e, al pari del dissesto finanziario, dall’intervento di risorse a carico del bilancio dello Stato, ovvero il Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all’art. 243-ter T.u.e.l.
Sulla base della ricognizione normativa finora svolta si ricava quindi che in coerenza con l’obiettivo primario dell’istituto del dissesto finanziario dell’ente locale, consistente nel suo stabile risanamento, un nuovo dissesto costituisce per l’ordinamento giuridico un’evenienza in grado di frustrare le finalità dell’istituto, contro la quale sono pertanto previste soluzioni per quanto possibile in grado di assicurare lo stabile riequilibrio di bilancio.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it