La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere su un appello avverso una sentenza del tribunale ordinario che condannava un comune a fronte della richiesta di alcuni cittadini che hanno convenuto in giudizio l’ente deducendone la responsabilità per le immissioni di rumore nella propria abitazione e prodotte nel quartiere dagli avventori degli esercizi commerciali ivi ubicati, i quali, nelle sere del fine settimana del periodo estivo si trattenevano in strada recando disturbo alla quiete pubblica anche ben oltre l’orario di chiusura degli stessi. Per questi motivi gli istanti hanno, con il ricorso al giudice ordinario, chiesto specificamente che il Comune venisse condannato “alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilità le immissioni medesime” nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.
La Corte ha annullato la sentenza di appello con rinvio confermando da una parte, contro una delle censure del giudice di secondo grado, la ricevibilità del ricorso da parte del giudice ordinario in quanto le domande attoree non risultano esorbitanti i limiti interni della giurisdizione del giudice ordinario, e confermando nel merito le ragioni della sentenza di primo grado che condannava l’ente con le seguenti importanti motivazioni:
la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute [costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale (art. 32 Cost.)], ma anche del diritto alla vita familiare [convenzionalmente garantito (art. 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021)] e della stessa proprietà [che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento (Cass. n. 1636/1999)], cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi;
la P.A. stessa, infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto un’attività soggetta al principio del neminem laedere (tra le più recenti: Cass., S.U., n. 21993/2020; Cass., S.U., n. 25578/2020; Cass., S.U., n. 23436/2022; Cass., S.U., n. 27175/2022; Cass., S.U., n. 5668/2023).
Ne consegue, continuano i giudici, la titolarità dal lato passivo del convenuto Comune a fronte delle domande, risarcitoria e inibitoria, proposte dagli attori a fronte del dedotto vulnus che le immissioni intollerabili, provenienti dalla strada comunale in cui si trova la loro abitazione, sono idonee a cagionare ai diritti dai medesimi vantati.
Fonte: Corte di Cassazione