Gli italiani sono conosciuti e percepiti nel mondo come un popolo di retori, di poeti e di esteti innamorati della bellezza. La nostra unità nazionale è stata immaginata in letteratura prima che in politica: i padri della patria sono Dante, Petrarca, Foscolo assai più di Garibaldi, Mazzini e Cavour. Ma a volte questa immagine un po’ stereotipa, pur fondata su fatti tangibili, abitua ad una percezione distorta o troppo parziale dei miei connazionali. Mette in ombra infatti il nostro contributo alla scienza, alle idee applicate alla tecnologia. Si pensi solo a Galileo, scienziato rivoluzionario (fondatore del metodo sperimentale) e anche scrittore raffinato e semplice, il più amato da Calvino.
Ma anche, prima di lui, a Leonardo scienziato geniale, benché non sistematico: zoologo, botanico, geologo, astronomo, ingegnere idraulico, anatomista, inventore di macchine e dispositivi (tra cui l’antesignano dell’elicottero e del paracadute). Dal 10 febbraio 2016 le macchine leonardesche si possono contemplare, ricostruite in maniera scenografica su larga scala e in forma tridimensionale, insieme a 13 postazioni interattive e 10 installazioni multimediali, allo Science Museum di Londra. La mostra “Leonardo da Vinci: The Mechanics of Genius”, realizzata nell’ambito della collaborazione tra il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano e Universcience di Parigi (con la sponsorizzazione del gruppo industriale Airbus, il supporto dei partecipanti alla People’s Postcode Lottery e la media partnership di The Guardian) propone appunto le macchine che Leonardo ha disegnato, per far comprendere al grande pubblico la sua multiforme opera scientifico-tecnologica.
Una esposizione da visitare e da meditare proprio per avere una visione più completa ed equilibrata della “identità italiana”. Non solo un popolo di letterati e umanisti, ma un paese da sempre interessato alla cultura materiale, alle macchine, capace di unire l’eleganza con la tecnica, impegnato a cercare realizzazioni pratiche della propria inesauribile inventività. La storia del design italiano sta lì a dimostrarlo: dal manifesto della Campari Soda del futurista Depero fino alla Panda di Giugiaro, alle ceramiche e alle macchine da caffè attuali. Ma d’altra parte gli Italian Studies che si insegnano nelle università inglesi non riguardano più soltanto la letteratura ma la cultura materiale nel nostro paese, come dimostrato da un nuovo modulo di insegnamento all’università di Leeds. Nato entro le discipline umanistiche – anche per merito di un lecturer di italiano a quella università, Alessio Baldini – , è denominato Made in Italy: Italy for business, e si occupa di impresa, economia, marketing, di macchine e dispositivi.