Con la sentenza n. 85 del 4 maggio 2023 la Corte costituzionale – nel ribadire la necessità, da parte del giudice a quo, di delineare correttamente la rilevanza della questione di legittimità costituzionale con particolare riferimento all’esatta individuazione della natura transitoria della normativa in rilievo – ricostruisce l’evoluzione della disciplina statale in tema di standard urbanistici, operando una ricognizione dei principi e delle regole di riparto di competenza tra Stato e regioni.
A cura dell’ufficio del massimario degli organi di giustizia amministrativa in rassegna, oltre agli enunciati in tema di inammissibilità delle questioni poste, le principali argomentazioni della Corte nella ricostruzione del quadro normativo afferente agli standard urbanistici.
In particolare la Corte in premessa ha segnalato come la disciplina degli standard urbanistici trovi il suo fondamento nell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), con cui è stato introdotto l’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, il quale, ai commi ottavo e nono, stabilisce che:
“In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore della medesima”;
e che, inoltre, la suddetta disciplina sia stata attuata dal d.m. n. 1444 del 1968 che, in base a quanto previsto dal predetto dal predetto comma nono della l. n. 765 del 1967, ha optato per l’individuazione delle percentuali di dotazioni infrastrutturali strettamente collegate alle destinazioni funzionali delle diverse zone in cui doveva essere ripartito dal piano regolatore generale il territorio comunale, così prevedendo gli artt. da 3 a 5 del citato d.m. n. 1444 del 1968 le percentuali e le quantità di aree da destinare a “spazi pubblici[,] attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”, differenziate in ragione del fabbisogno attribuito a ciascuna zona territoriale omogenea;
e che da ultimo, la stessa, sia funzionale all’esigenza di regolare l’ordinato sviluppo delle infrastrutture soprattutto nel tessuto urbano, e sia rimasto sostanzialmente invariata pur nel momento in cui le regioni si sono dotate di una legislazione urbanistica improntata a diversi modelli pianificatori;
la corte ha anche sottolineato come – nell’ambito della evoluzione normativa nazionale e regionale (riscontrabile anche nella legislazione urbanistica di altre regioni) – sia successivamente intervenuta la disposizione (che ha dato luogo a incertezze applicative) recata dall’art. 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, inserito dall’art. 30, comma 1, lettera 0a), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, con modificazioni, dalla l. n. 89 del 2013 secondo cui “[f]erma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it