Di seguito il dispositivo della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 6 giugno 2023 con cui si dichiara:
1) l’illegittimità costituzionale dei commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132;
2) in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dei commi 1-ter, 1-quater e 7-ter dell’art. 93 cod. strada, introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito.
In sostanza la Corte ha dichiarato illegittimo il principio introdotto dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, e tradotto nella formulazione di cui ai commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) che prevede divieto, per chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, di circolare con un veicolo immatricolato all’estero e conseguentemente l’ applicazione, per la violazione del suddetto divieto, di una sanzione amministrativa pecuniaria, oltre al sequestro amministrativo del veicolo e la confisca amministrativa qualora, entro il termine di centottanta giorni decorrenti dalla data della violazione, il veicolo non sia immatricolato in Italia o non sia richiesto il rilascio di un foglio di via per condurlo oltre i transiti di confine.
La Corte sostiene in punto di diritto che le suddette specifiche norme contenute nel DL 113 del 2018, come convertito, presentano il carattere di norme “intruse” in quanto estranee alle finalità di sicurezza pubblica, ritenendo, pertanto, che Il divieto posto dalle disposizioni censurate non ha, di per sé, alcuna diretta incidenza né sulla prevenzione di illeciti, né sulla identificazione di chi è alla guida di un veicolo, potendo rilevare, ai sensi dell’art. 196 c.d.s., solo ai fini della identificazione del soggetto solidalmente responsabile con il conducente, senza, quindi, che ciò attenga alle esigenze di tutela della sicurezza pubblica.
Ciò facendo ha ritenuto fondata l’interpretazione del Tribunale che ha sollevato la questione di legittimità, ovvero che l’obiettivo perseguito dall’inasprimento del trattamento sanzionatorio riservato a chi, residente in Italia da più di sessanta giorni, circoli in Italia con veicolo immatricolato all’estero sarebbe, in realtà, quello di contrastare il fenomeno della cosiddetta esterovestizione dei veicoli, cioè la condotta di chi, residente in Italia, utilizzi veicoli immatricolati all’estero e intestati (spesso fittiziamente) a terzi, «al fine di evitare il pagamento dell’imposta di bollo e degli oneri fiscali connessi all’assicurazione per la responsabilità civile, di rendere più difficile la riscossione delle sanzioni amministrative per gli illeciti commessi e, più in generale, di sfuggire ai controlli del fisco, occultando indici della propria capacità contributiva, evidentemente difforme da quella dichiarata».
Così come la censura secondo cui l’estraneità di tale obiettivo a quelli perseguiti dal d.l. n. 113 del 2018, nel suo insieme e con riguardo allo specifico Capo in cui è stato inserito l’art. 29-bis di esso, con cui sono state introdotte le disposizioni censurate, interrompe il «nesso di interrelazione funzionale» tra decreto-legge e legge di conversione, così determinando una violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
Fonte: Corte Costituzionale