Nel suo saggio “Breve storia del futuro”, il visionario (e chiacchierato) intellettuale francese Jacques Attali – già stretto collaboratore economico di François Mitterrand – scrisse questo: “nei prossimi anni la Corea (del Sud) stupirà il mondo”. Ora la Corea, centomila kmq e 51 milioni di abitanti, dal punto di vista economico-culturale equivale sostanzialmente alla sua capitale, Seoul, oltre 26 milioni di abitanti nell’impressionante area metropolitana, capace di una forza propulsiva finanziaria e di costume che da qualche anno riesce ad essere trainante verso nuove sfide e nuovi traguardi per il Paese e pure per una grossa porzione d’Asia. La penisola coreana risulta essere in gran parte montagnosa, con rilievi non altissimi ma comunque in grado di rendere problematici sia gli spostamenti sia l’agricoltura. Una delle poche aree estesamente coltivabili è la valle del fiume Han, non il corso d’acqua più lungo della penisola – sarebbe il quarto ma due di questi stanno nel profondo nord, confine con Manciuria e Siberia, quasi steppe dove non cresce granché – comunque quello posizionato meglio, in posizione baricentrica rispetto al resto del Paese.
Dopo un percorso di circa 500 km, dove raggiunge in diversi punti una ragguardevole larghezza di anche 1000 metri, sfocia sulla costa ovest nel Mar Giallo – un bacino più navigabile per le imbarcazioni dei pescatori di secoli fa – non prima di aver formato una estesa piana coltivabile e colonizzabile circa cento km prima. Per questo durante tutta la storia coreana chi controllava l’Han e la piana a ovest prima del suo estuario in linea di massima riusciva a dominare tutta la penisola coreana. Per questo un oscuro fortilizio edificato secondo la leggenda il 18 a.C. dal re Onjo e inizialmente battezzato Wiryeseong divenne il pomo della discordia dei vari Signori della Guerra che nei secoli cercheranno di unificare il Paese. Il fortilizio, per la sua favorevole posizione dove si incrociavano vie di comunicazione – e dunque di commercio – e si poteva dare vita alla forma di agricoltura intensiva più estesa della penisola, crebbe sino a divenire città. Prese il nome di Hanseong (“Città fortificata sul fiume Han”) e ad arricchirsi di palazzi, mercati e mura di cinta (alcuni tratti delle quali sopravvissute sino ai giorni nostri) e nel 1394 la dinastia Joseon ne fece la capitale della Corea unificata. I Joseon regnarono sul Paese sino alle soglie del XX secolo segnando per sempre la storia dei coreani (i quali ancora oggi indicano sé stessi come “popolo di Joseon”). Sotto questa dinastia la Corea conobbe lunghi periodi di pace connotate dalla diffusione della filosofia confuciana, da due tentativi di invasione da parte di cinesi e giapponesi (i due ingombranti vicini) entrambe respinti – ma mai del tutto le loro ingerenze – e qualche turbolenza dovuta a lotte dinastiche intestine.
La capitale Hanseong (Seoul) non ebbe gli slanci culturali che investirono Edo-Tokyo con l’avvento di un’era proto-borghese in Giappone a partire da XVII secolo, proprio perché la Corea perseguì sempre una politica isolazionista per proteggersi da nipponici e cinesi. Fu solo dopo la metà del XIX secolo che la Storia cominciò a cambiare, anche per il sovraffollamento delle acque attorno alla penisola, che videro l’arrivo delle flotte occidentali in aggiunta a quelle delle tradizionali potenze regionali. Nel 1866 furono i francesi a tentare di forzare il blocco e nel 1871 gli americani. A sorpresa furono invece i nipponici – dopo l’avvio in patria del periodo Meji di apertura all’occidente – a riuscire ad installarsi stabilmente in tre porti coreani con propri agenti commerciali a partire dal 1876 per poi rendere vassalla l’intera penisola dopo due vittoriose guerre contro Cina (1895) e Russia (1905). Il quasi mezzo secolo di occupazione nipponica della Corea – terminato nel 1945 – portò sviluppo economico e mentalità imprenditoriale – è di questo periodo la costruzione di imponenti infrastrutture, le prime forme di emancipazione femminile con l’accesso allo studio e al lavoro per le donne sancito per legge e la definitiva apertura al resto del mondo ma fu anche un periodo di violenti soprusi con il tentativo di cancellare lingua e cultura locali e culminato con la riduzione in schiavitù di milioni di coreani durante la seconda guerra mondiale, condotti coercitivamente nelle fabbriche giapponesi o addirittura nei bordelli per i soldati imperiali. E’ comunque di questo periodo il decollo di Seoul come realtà politico-industriale pienamente inserita nel XX secolo.
La progressione dei suoi abitanti, che passarono dai 200.000 scarsi del 1900 ai 900.000 alla vigilia della seconda guerra mondiale fu significativa ma non eccezionale, piuttosto fu evidente il cambio di passo nelle infrastrutture – fu tra le prime realtà asiatiche ad avere un moderno acquedotto, una rete telefonica e quella tramviaria – che la consolidarono come snodo cruciale tra nord del Paese a vocazione industriale e sud maggiormente improntato all’agricoltura e al commercio. I nipponici costruirono una efficiente rete stradale e ferroviaria collegando la capitale con Pyongyang a nord e Busan a sud, potenziarono i porti di Incheon sul Mar Giallo e la stessa Busan sul Mar del Giappone e incrementarono lo sfruttamento dei suoli e dei giacimenti minerari. Il prezzo da pagare come detto fu altissimo ma la svolta impressa alla società coreana nel suo insieme fu innegabile. L’importanza acquisita dalla capitale (battezzata Gyeongseong dagli invasori giapponesi poi definitivamente Seoul – letteralmente “Capitale” – dai coreani nel 1945) venne tragicamente confermata allo scoppio della guerra civile (1950-1953) quando la città fu oggetto di violentissimi combattimenti passando più volte di mano in mano tra il nord comunista e il sud filoamericano per poi trovarsi alla fine del conflitto e per sua fortuna di poco a sud della linea armistiziale (il centro storico si trova a soli 45 km dalla Corea del Nord).
In poche settimane vi confluirono quasi due milioni di profughi e fuggitivi dal regime del nord, tra l’altro in una città dove erano stati distrutti o gravemente danneggiati il 70% degli edifici. La ripresa fu dunque durissima, tanto per la capitale quanto per il resto del sud, classificato allora dalle Nazioni Unite come uno dei Paesi più poveri del globo, praticamente alla pari di quelli africani, ma grazie agli ingenti aiuti statunitensi dopo soli 15 anni a fine anni ’60, già si cominciò a parlare di “miracolo sul fiume Han” per descrivere l’incredibile balzo economico della Corea del Sud con perno sull’area metropolitana Seoul-Incheon. L’impetuosa rinascita fu dovuta a una proficua saldatura fra i cosiddetti conglomerati industriali, il governo (sino agli anni ’80 una pseudo dittatura di stampo anticomunista) e una popolazione confucianamente devota a qualunque scelta facesse lo Stato per il bene pubblico. I conglomerati sono delle specificità industriali che accomunano la Corea al Giappone (è evidente il retaggio della dominazione nipponica); si tratta di grandissime realtà commerciali che si occupano in maniera organica dei rami più disparati fra loro. La Samsung ad esempio, nata nel 1938 come fabbrica di tessuti, dopo la guerra civile del ‘50-’53 si è estesa pian piano a vari campi come l’alimentare, le costruzioni e l’elettronica. Il Burj Kalifa di Dubai, attualmente il grattacielo più alto del mondo, è stato costruito proprio da Samsung Costruzioni. Altri grandi conglomerati ben noti al resto del mondo e al grande pubblico sono la Hyundai, la Kia e la Daewoo (pochi sanno che questi marchi conosciuti esclusivamente per l’automotive sono invece molto attivi anche nelle grandi costruzioni, nei semiconduttori, nella chimica e nella cantieristica).
Il sostegno e la connessione reciproci fra questi gruppi e lo Stato fu forte sin da subito e le politiche di qualunque governo dagli anni ’60 ad oggi sono state sempre favorevoli all’espansione e alle esigenze contingenti – anche negative – di questi grossi conglomerati. Non è un caso che tutte le grandi companies abbiano sede a Seoul, cuore del potere politico. A questo proposito è emblematico per le fortune strategiche di tutta la Corea il cammino fatto da Samsung che a inizio anni ’80 comprese le enormi potenzialità della nascente industria informatica e dell’elettronica in genere. L’azienda investì una fortuna in formazione e in strutture e dovette attendere oltre dieci anni per cogliere i primi timidi frutti di questa politica. La svolta data da Samsung alla propria storia aziendale – aiutata dal governo che avallò le scelte strategiche del gruppo – ha condizionato l’intero Paese che da timida potenza industriale degli anni ’80 è passata ad essere oggi leader mondiale in information technology e cibernetica oltre a mantenere posizioni di rilievo nell’industria classica. Un esempio sono i semiconduttori, produzione dove la Corea del Sud è oggi seconda solo a Taiwan. Seoul è stato palcoscenico e laboratorio ove si sono progettate e sviluppate queste trasformazioni epocali. La città respira da quarant’anni un climax progressivo e quasi fideistico nel futuro e nelle nuove tecnologie che ha condizionato anche il susseguirsi delle scelte di sviluppo urbano e sociale, nonostante il momentaneo crollo economico di fine anni ’90.
Dalla metà degli anni ’80 (importante fu l’appuntamento con le Olimpiadi del 1988) sono state avviate politiche di recupero dell’ambiente, sino a quel momento trascurato al punto che il fiume Han dopo aver attraversato la megalopoli veniva considerato biologicamente morto. Oggi è stato riportato quasi ai fasti di un tempo, gradevolmente corredato da innovativi parchi urbani alle sue rive da cui si godono fantascientifiche viste sui grattacieli cittadini. Dal 2005 è stato vietato lo smaltimento in discarica degli scarti alimentari e potenziato il loro riciclo sia come fertilizzante organico che come alimentazione animale. I cassonetti pesano il sacchetto e lo tassano di conseguenza. Agli utenti vengono inoltre distribuiti dei particolari scanner che indicano il reale grado di deperimento degli alimenti al di là della data di scadenza ufficiale (così da limitare lo spreco). Tali politiche hanno portato il riciclo dell’umido dal 2% di inizio secolo al 95% attuale. In città sono state recuperate aree dismesse poi adibite a orti urbani (circa 2,5 milioni di mq) che vengono coltivati con gli scarti organici raccolti. Sul piano della mobilità i 26 milioni di abitanti della megalopoli possono contare su una metro di 9 linee urbane e 13 suburbane per un totale di 22 linee in sotterranea o di superficie che trasportano quasi 10 milioni di utenti al giorno. La prima linea venne inaugurata nel 1971 e da allora molto è stato fatto per agevolare gli spostamenti in un’area gigantesca senza dover essere costretti a fare ricorso ai veicoli privati. L’efficienza delle reti di trasporto pubblico è testimoniata dalle recenti demolizioni di alcune autostrade urbane sopraelevate ritenute ormai sottoutilizzate e sostituite da altrettanti parchi “en longueur” che si snodano lungo la metropoli come un tempo facevano gli inquinanti nastri stradali.
Ma il passo più straordinario, questa incredibile megalopoli, si accinge a farlo proprio ora, nel 2023 anno in cui dovrebbe prendere il via – prima città al mondo – il progetto Metaverse Seoul ovvero la creazione di una Seoul gemella e minuziosamente uguale a quella reale ma esistente nel metaverso. L’intento della Municipalità sarebbe quello di permettere a ciascun cittadino e a ciascun impiegato comunale di crearsi degli avatar che possano interagire virtualmente senza uscire di casa, magari per disbrigare delle pratiche burocratiche o chiedere particolari informazioni per le quali oggi vengono affollati gli uffici pubblici. Sarebbe un ulteriore passo avanti verso la decongestione, nella lotta all’inquinamento, nell’efficienza dei servizi (peraltro già efficienti adesso).
Di più, la Seoul del metaverso sarebbe accessibile da potenziali miliardi di turisti da ogni parte del mondo, semplicemente collegati con dei visori 3d e tra l’altro con la possibilità di visitare anche parti della città oggi scomparse, tutte ricostruite in questo mondo virtuale. Praticamente un viaggio nel tempo e nello spazio rimanendo comodamente seduti sul divano di casa a migliaia di km dalle luci – reali – della glamour capitale coreana. Il passo successivo programmato dalla Municipalità – che in questo progetto futuristico sta investendo milioni di dollari – vorrebbe essere quello di affidare entro tre anni la gestione degli avatar direttamente a un A.I. (Intelligenza Artificiale) in modo tale da svincolare utente e impiegato dal loro ruolo fisico e potergli consentire di fare anche altro. E qui si aprono scenari fantascientifici – e anche un po’ distopici – davvero difficili da perimetrare. Quali leggi regolerebbero questo genere di mondi? Quali limitazioni avrebbe e chi controllerebbe l’Intelligenza Artificiale? Potrebbe generarsi – come successo col dark web – anche una dark Seoul del metaverso? Staremo a vedere e comunque vada per la città sarà un successo, l’ennesimo per Seoul: da capitale semidistrutta di uno Stato del terzo mondo nel 1953 a megalopoli guida dell’umanità del III millennio.