Presentato ieri a Roma presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari il Rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno. Nello studio viene messo in evidenza il gap in aumento tra il Nord e il Sud del nostro Paese e come dal 2000 in poi abbiano lasciato il Mezzogiorno qualcosa come 2 milioni e 15 mila residenti, la metà dei quali giovani under 35, in gran parte laureati. Un moto di ottimismo si ha quando nel Report viene segnalata, per il 2020, una lieve ripresa delle regioni del Sud che cresceranno, ma non oltre lo 0,2%. Poi il sorriso si spegne leggendo che il 2019 vede il Sud entrare in recessione, con un Pil stimato in calo dello 0,2%, a fronte del +0,3% del Centro-Nord.
In una retrospettiva d’insieme il documento sottolinea come ad aumentare siano altresì le differenze occupazionali che, negli ultimi due lustri, sono passate dal 19,6% al 21,6%. Ciò comporta il fatto che i posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono circa 3 milioni in più degli attuali. Abruzzo, Puglia e Sardegna risultano le regioni che, nel 2018, hanno registrato il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%. In Molise e Basilicata il Pil è andato su del +1%, mentre in Sicilia ha segnato +0,5%. Dato negativo, invece, per la Campania che lo scorso anno ha segnato una crescita pari a zero e per la Calabria, che ha registrato una flessione del Pil di -0,3%.
Nel quadro complessivo che presenta diverse criticità, un’opportunità di crescita per il Mezzogiorno potrebbe arrivare però dalla bioeconomia. Molte regioni del Sud infatti stanno dimostrando innovazione, talentuosità ed efficienza in questo campo. La bioeconomia meridionale, spiega Svimez, si può valutare tra i 50 e i 60 miliardi di euro, equivalenti ad un peso tra il 15% e il 18% di quello nazionale. L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, reputa infine che il reddito di cittadinanza abbia avuto un impatto nullo poiché “invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”. La povertà non si può combattere solo con un contributo monetario “occorre – si legge nel Rapporto – ridefinire le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza”.