Con la sentenza 7246/2019 i giudici della seconda sezione del Consiglio di Stato hanno fissato il principio secondo cui sussiste la responsabilità della Pubblica amministrazione per violazione dei canoni di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c. laddove, dopo aver ammesso a finanziamento un’iniziativa imprenditoriale inserendola nella relativa graduatoria per la fruizione delle risorse all’uopo stanziate, solo a distanza di anni, in sede di rendicontazione dell’attività svolta, il soggetto pubblico rappresenti che questa non rientrava fra quelle ammissibili in base alla normativa europea di riferimento; in tale ipotesi, infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada, il carattere doveroso e vincolato per la P.A. dell’attività consistente nell’evitare l’indebita erogazione di risorse pubbliche (ovvero, ove le stesse siano state già erogate, nel loro recupero), non esclude che per effetto della pregressa condotta della stessa Amministrazione possa essersi formato in capo al privato un ragionevole affidamento nella legittimità del riconoscimento dei contributi in proprio favore, tale da indurlo a portare avanti l’iniziativa imprenditoriale e a sostenere i relativi oneri nella legittima convinzione che gli stessi sarebbero stati coperti dalle risorse pubbliche.
La Sezione ha premesso di aderire all’indirizzo secondo cui la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici” quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, “essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato” (Cons. St., sez. III, 13 maggio 2015, nn. 2380 e 2381). Nella fattispecie, gli stessi giudici hanno però ravvisato gli estremi della colpa della P.A. nella stessa circostanza, addotta in giudizio dalla stessa a sostegno della legittimità della propria determinazione di non erogare il finanziamento, della chiarezza delle disposizioni che individuavano gli interventi ammissibili a contributo e nell’onere degli interessati di esserne a conoscenza: circostanze che, se opponibili al richiedente, a fortiori dovevano valere per la stessa amministrazione fin dalla fase dell’esame delle istanze ammissibili. Né, secondo la Sezione, il legittimo affidamento poteva essere escluso nella specie per il fatto che il bando riservasse in capo all’Amministrazione un potere di rideterminazione e anche decurtazione del contributo nella fase di rendicontazione, atteso che tale previsione logicamente riguardava il controllo sulle attività svolte e non quello sull’ammissibilità delle domande di contributo, che doveva essere svolto a monte della formazione della graduatoria dei soggetti ammessi.