“Importanti e pesantissimi” gli effetti economici che, secondo la Ggia di Mestre, gli oltre tre milioni di lavoratori “invisibili”, in quanto sconosciuti al fisco, all’Inps e all’Inail, causano all’intero sistema-Paese. Costoro generano 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno, sottraendo al fisco un gettito di 42,6 miliardi di euro. Si tratterebbe, in base alle stime del Mef, di circa il 40% del totale dell’evasione d’imposta nel nostro Paese, che corrisponde a 100 miliardi annui. Dati indubbiamente allarmanti, sebbene siano imprescindibili alcune considerazioni:
– una mole così cospicua di denaro rientra comunque nel ciclo economico sostenendo la domanda che, altrimenti, risulterebbe meno robusta;
– i consumi effettuati grazie a queste risorse aggiuntive, ricadono comunque sotto l’Iva, perché ogni bene o servizio acquistato è soggetto all’imposta sul valore aggiunto e, pertanto, parte dell’evasione diretta ritorna allo Stato sotto forma d’imposizione indiretta;
– qualora fosse tutto regolarizzato, non è detto che, dati i maggiori costi del lavoro che le imprese dovrebbero sostenere, tutti e tre milioni di attuali lavoratori invisibili sarebbero effettivamente impiegati e resi visibili, con la probabile conseguenza di una riduzione del fatturato totale;
– aumenterebbero, di conseguenza, i prezzi di molteplici beni e servizi, in precedenza prodotti dagli invisibili (es., le piccole riparazioni domestiche, ecc.), gravando sul potere d’acquisto dei ceti meno abbienti, tradizionalmente inclini ad acquisire merci reperite sul mercato nero;
– crescerebbe, inoltre, anche la massa dei disoccupati reali senza reddito, ai quali comunque andrebbe corrisposta una qualsivoglia forma di sostegno economico, con il risultato di aggravare i costi a carico delle Pa centrali e locali;
– dunque, lo Stato ci guadagnerebbe o ci perderebbe a conti fatti?
Ragionamenti a parte, tuttavia, la Cgia insiste nel sostenere che a rimetterci non sono soltanto le casse dell’erario, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale dei produttori “fantasma”. “Questi lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Prestazioni, ovviamente, che come dicevamo, chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire – spiega la Cgia e aggiunge – Per contrastare questo fenomeno la reintroduzione dei voucher potrebbe essere una prima risposta. Ovviamente, questo non basta. Occorre soprattutto abbassare le tasse e i contributi previdenziali, ridurre il carico amministrativo e incentivare le misure dissuasive e di stimolo all’emersione, sostenendo, soprattutto, l’attività di controllo eseguita dagli organi preposti. Senza contare, infine, che è necessario mettere in campo una grande operazione educativa in tutti gli ambiti sociali per promuovere la cultura della legalità”.
Se questa è la ricetta proposta e consegnata all’attenzione del Governo, la realtà attuale è ben diversa. Dalle cifre emerse si evince, infatti, che la regione più a ‘rischio’ per il sommerso sia la Calabria, la quale annovera 146mila lavoratori in nero, ma un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale pari al 9,9%. Un risultato che è quasi doppio rispetto al dato medio nazionale (5,2%). Questa situazione, secondo l’elaborazione della Cgia, si traduce in quasi 1,6 miliardi di euro di mancate entrate per lo Stato. Segue la Campania che con 382.900 unità di lavoro irregolari ‘produce’ un Pil in ‘nero’ che pesa su quello ufficiale per l’8,8%. Le tasse che mediamente vengono a mancare in Campania ammontano a 4,4 miliardi di euro all’anno. Al terzo posto della “black list” troviamo la Sicilia: con 312.600 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella complessiva pari all’ 8,1%, le imposte e i contributi non versati sfiorano i 3,5 miliardi di euro all’anno. Il territorio meno interessato dalla presenza dell’economia sommersa è il Veneto: i 199.400 lavoratori in nero ‘causano’ 5,2 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso (pari al 3,8%del Pil regionale) che sottraggono al fisco quasi 2,9 miliardi di euro.