Gennaio 1970, New York, Park Avenue all’altezza dell’Upper East Side. C’è un party da Leonard “Lenny” Bernstein e sua moglie Felicia Montealegre. Qui li vediamo ritratti con Donald J. Cox, uno che probabilmente dell’Upper East Side conosce solo le fermate sulle linee 4, 5 e 6 della metro, che da Harlem scendono verso Downtown e da qui a Brooklyn. Siamo agli ultimi botti dei ribelli sixties, degni del finale di uno spettacolo pirotecnico. Sei mesi prima Neil Armstrong ha piantato una stars & stripes sul Mare della Tranquillità a 380.000 km da casa e mezzo milione di giovani ha acclamato i sui déi sul palco di Woodstock ma gli States hanno ormai perso la loro verginità, sono ancora infognati con i cong del sudest asiatico da dove gli Huey decollano a ritmo infernale riportando indietro migliaia di reduci invalidi, psicotici o dipendenti dall’eroina, gli assassinii dei fratelli Kennedy e del reverendo King di qualche anno prima hanno lasciato lividi indelebili sul corpo della Nazione, i ghetti delle metropoli ribollono di rabbia. Per la società americana – e più in generale per quella occidentale – si sta aprendo un decennio di riflusso, crisi economica ed esistenziale che segnerà le vite di molti. New York non è manco lontanamente la morbida capitale dell’impero che descriverà Federico Rampini 40 anni più tardi, sicura, elegante, raffinata ed invasa da turisti beoti; è marcia la Grande Mela, dalle sopraelevate che hanno stuprato il Bronx fino ai locali equivoci di Times Square, e il peggio deve ancora venire. A malapena celate dai paraventi dei due partiti tradizionali, il Repubblicano e il Democratico, dalle faglie storiche che attraversano il paese, di natura etnica, geografica o religiosa, fuoriescono venefici effluvi radicali che si riversano nell’alveo tumultuoso di quel periodo. Ma è sorprendente l’America di quegli anni, fra attivismo, esperienze di segno opposto, violenza, coraggio, nuove frontiere da sognare… eccole in questa immagine le contraddizioni di un Paese avulso dalle infide concrezioni sociopolitiche della vecchia Europa, un Paese che riesce a volte ad essere così meravigliosamente cinico e ingenuo allo stesso tempo, condizione da cui spesso trae la sua forza ed il suo limite.
Donald Cox è un leader del Black Panther Party, movimento nigger, di ispirazione maoista, incubato fra i viali fighetti del campus di Berkeley e le squallide strade dei ghetti di Los Angeles, quello del pugno guantato nero di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico ’68 per intenderci. Leonard Bernstein non ha bisogno di presentazioni, è uno dei più celebrati compositori e direttori d’orchestra contemporanei, autore fra l’altro della celeberrima West Side Story. Donald è più avvezzo al 44 magnum, Lenny al colletto button down delle camicie Brooks Brothers, Donald passeggia senza timore per Castro, Harlem, Watts, Leonard non passeggia, lo scarrozzano su una Limo dai vetri scuri all’interno del triangolo Lincoln Center-Broadway-Upper East Side, Donald si muove circospetto per l’America, è un rivoluzionario lui, tenuto d’occhio dall’FBI e da quelli del Cointelpro, Lenny si muove circospetto per l’America, è una checca lui, tenuta d’occhio dalla moglie Felicia e dai benpensanti.
Sono vite distanti le loro, così distanti che nei curiosi States di quei giorni è possibile che arrivino anche a toccarsi. E’ dalle imprese dei barbudos cubani del ’59 che certa intellighenzia osserva incuriosita le tristi vicende dei diseredati della Terra dall’alto dei suoi attici newyorchesi, per noia, filantropia, sincera umanità o per un sentimento di colpa in un paramondo alla rovescia. La Revoluciòn (o il suo racconto) ha sempre avuto largo seguito fra gli uomini colti ma un conto è portarla avanti ai -20 delle ghiacciate steppe russe o sotto le piogge della foresta caraibica, altro è sognarla sdraiati sui prati della Columbia in compagnia di un ghiacciato, quello sì, screwdriver. Si dice che alla “rivoluzionaria” stagione del Rinascimento sia seguito l’affettato Manierismo. Eccolo il primo manierismo in questa foto, che sancì l’ingresso nel lessico moderno della locuzione radical chic, dalla penna mirabile di Tom Wolfe che realizzò un reportage sulla raccolta fondi fatta quella sera in casa Bernstein per alcune Panthers incarcerate. C’era una buona fetta di jet set della east coast in quell’attico su Park Avenue, gente che probabilmente sarebbe stata in cima alle black list, diciamo, nel caso in cui certi movimenti avessero preso il potere in America in quegli anni. Ma l’eventualità era davvero remota e forse proprio per questo il fascino della boue, del fango come ebbe a dire Wolfe, prevalse su qualunque altra valutazione, divenendo moda qui e altrove in occidente.
Donald Cox e i suoi tornarono fra bassifondi, università, comizi, sit-in e ruvidi faccia a faccia con la polizia. Accusato assieme ad altri di cospirazione nell’assassinio di un collaboratore dell’FBI pochi anni dopo, fu costretto alla fuga, prima in Algeria poi in Francia dove si stabilì fino alla morte, avvenuta nel 2011. Gli allegri convitati dei Bernstein invece tornarono ai loro affari miliardari, alle loro civettuole comparsate televisive, ai loro impegni mondani magari intervallati da altre serate benefiche in favore di questa o quella iniziativa ma la pietra, quella sera, era stata gettata nello stagno e da allora un nuovo animale sociale, istrionico, contraddittorio, ingenuo o spocchioso quanto si vuole, era stato dato in pasto al vorace circo consumista.