La grande distribuzione punta il dito contro la mancata liberalizzazione del commercio nelle città. “La legge sulla concorrenza è rimasta lettera morta – afferma Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – ostaggio delle lobby e paralizzata anche dalla bocciatura del referendum costituzionale”. L’atto d’accusa coinvolge anche gli enti locali che, a parere di Cobolli Gigli, resisterebbero alle “competenze di prerogativa dello Stato” in questa materia, rafforzati dall’approvazione del decreto Scia2 in applicazione della riforma Madia che conferisce ai Comuni la facoltà di introdurre vincoli alla diffusione dei centri commerciali a tutela del patrimonio storico. Ma la sua requisitoria non si ferma qui: “L’aumento dell’aliquota Iva di un punto percentuale – rincara la dose – sarebbe un’ecatombe per i consumi, perché la ripresa dell’inflazione è soltanto l’effetto di un aumento dei prezzi delle materie prime e non della ripartenza della domanda interna”. Cobolli Gigli respinge pure l’insinuazione che l’evasione fiscale possa attecchire nella grande distribuzione. Pertanto, paventa che possa essere introdotto l’istituto della “reverse charge” dell’Iva, in base al quale si avrebbe l’inversione del pagamento dell’imposta allo Stato, che passerebbe dai fornitori ai distributori, causando un aggravamento dei costi amministrativi di circa 4 miliardi a carico delle aziende del settore. La sua ricetta è invece di tutt’altro segno: meno vincoli sui saldi, maggiore semplificazione burocratica, più liberalizzazione e la trasformazione dei supermercati in “isole multiservizio” in grado di vendere anche polizze assicurative e prodotti bancari con l’ausilio di partner commerciali. Considerazioni non del tutto infondate quelle sviluppate dal presidente di Federdistribuzione, ma che, tuttavia, si soffermano soltanto su un lato del problema: il rilancio dei consumi e della domanda, la diffusione capillare della rete commerciale, come volano della ripresa economica. Trascurate e sottovalutate, invece, le ragioni dei Sindaci – che devono mantenere il controllo della gestione del territorio e della pianificazione urbana – e dei cittadini, che hanno il diritto di godere di centri storici non affollati di jeanserie, fast food e Mall mastodontici, nei quali sia preservato l’equilibrio fra modernità e antichità, tra memoria storica e innovazione, tra bellezza e funzionalità, fra arte e tecnologia.