Giacomo Casanova non deve essere ricordato stato soltanto come il latin lover per eccellenza, il libertino adorato dalle donne che tutti i maschi, soprattutto quelli italici, vorrebbero essere. Casanova ha esercitato anche l’oscuro mestiere di spia, almeno per una fase abbastanza lunga della sua avventurosa esistenza. A svelarci questa inedita attività sconosciuta ai più è Paolo Preto, professore emerito di Storia moderna all’università di Padova. “Dopo lunghe e variegate peripezie e avventure, d’amore, di studio, di espedienti per ‘cavar denari’, in varie città d’Italia, Francia, Austria, Germania – scrive Preto – dal maggio 1753 Casanova è di nuovo a Venezia.
Se la spassa con molteplici amanti, gioca d’azzardo, tenta di aprire un banco per il gioco del faraone, con raggiri di scienze occulte e cabalistiche spilla buone somme di denaro a un vecchio nobile, Zuane Matteo Bragadin, discetta un po’ troppo liberamente di filosofia, religione e politica nei caffè e nei salotti. Ed è qui che l’intraprendente avventuriero scivola nelle maglie dell’onnipresente spionaggio della Serenissima, come vittima, per ora”.
A metterlo nel mirino è Giambattista Manuzzi, uno dei più abili confidenti degli Inquisitori di Stato. Lo sorveglia discretamente nelle sue scorribande nei locali veneziani e, col pretesto di consultare libri di magia per evocare i demoni, s’insinua nella sua dimora. Sebbene la Venezia del Settecento sia una città libera, nei costumi e nei pensieri, vigono comunque limiti e divieti. Ecco perché l’affiliazione alla Massoneria, l’ostentato libertinismo, qualche amore “di troppo” a danno del potente di turno – tutte circostanze puntualmente registrate dalle spie – conducono Casanova nei Piombi di palazzo Ducale. E’ Il 24 luglio 1755. Da quel tetro carcere riesce a evadere in circostanze rocambolesche da lui stesso raccontate nella celebre Histoire de ma vie.
Bisogna sapere che gli Inquisitori di Stato costituiscono un tribunale odioso che semina sfiducia e terrore tra i sudditi della Serenissima mediante spie onnipresenti e onniscienti. Intanto, colpito da un bando (una sorta di ostracismo del tempo), Casanova girovaga tra Parigi, Berlino, Pietroburgo, Madrid, Barcellona, cercando di sbarcare il lunario con gli sperimentati espedienti al limite del raggiro e della truffa. E’ ignaro del fatto che uno dei metodi preferiti dagli Inquisitori per reclutare spie all’estero sia la promessa della revoca del bando (e quindi la possibilità di ritornare a Venezia) ai fuorusciti disposti a compiere qualche significativa azione di spionaggio politico, militare, economico. Casanova è il candidato ideale per questo ruolo di agente segreto. E lo scoprirà presto.
Dopo un periodo di “apprendistato preliminare”, nel quale riesce a boicottare il tentativo di alcuni frati armeni di far concorrenza all’industria tipografica veneziana da Trieste, Casanova rientra in patria e fa il grande passo entrando nel labirinto vischioso dell’intelligence. Si offre definitivamente nel 1774 agli Inquisitori e, nel febbraio del 1776, viene arruolato a tutti gli effetti. Assumendo il nome in codice di Antonio Parolini, si mette a indagare su scandali erotici, ecclesiastici corrotti, testimoni falsi, macchinazioni austriache in Dalmazia, esagerazioni scandalose negli spettacoli teatrali, ricerca d’informatori.
“Il 2 ottobre 1780 – ricorda Preto – è nominato ufficialmente «confidente ordinario», con regolare retribuzione, in materia di religione, costumi, pubblica sicurezza. Per almeno due anni batte caffè, ridotti, teatri, casini di nobili, luoghi pubblici, alla caccia di frodi, segreti, ‘occulte trame’ contro la Repubblica e la religione, nemici della pubblica moralità (prostitute, omosessuali, illuministi).
Le sue ‘riferte’ (informative) ci illuminano su scandali teatrali, risse, nobili corrotti, tipografie clandestine, contrabbandi, emigrazioni clandestine”.
La carriera di Casanova in qualità di “spia inquisitoriale”, però, cessa bruscamente il 31 ottobre 1782. Un suo velenoso opuscolo satirico contro Giovan Carlo Grimani provoca la violenta reazione di alcuni potenti patrizi e lo costringe di nuovo a una precipitosa fuga da Venezia. Per tre anni batte il Nord dell’Europa, percorrendo a destra e a manca Germania, Olanda, Austria. Poi, estenuato da tanto vagabondare, si ritira nella biblioteca di Dux. Sarà un esilio lungo e melanconico.