Edificata tra il 1005 ed il 1036 (il periodo effettivo della sua fondazione divenne oggetto di discussione tra gli studiosi), sorge di fianco alla locale Via Maria, e la sua denominazione deriva presumibilmente dal nome del console romano Caio Mario, coraggioso condottiero della legione dei populares vissuto nella zona frusinate durante e dopo il I secolo d.C. . Tuttavia, c’è la possibilità che il nome del luogo possa derivare anche da una declinazione del nome della dea pagana Cerere, che i romani consideravano simbolo di fertilità dei campi agricoli (dal Cartarium Casamariense, documento relativo al XIII secolo). La storia di Casamari non è solo una storia di ascetismo, adorazione e culto religioso, ma è anche una bellezza figurativa e culturale che ha pochi riscontri nella storia del monachesimo italiano medievale.
La prima costruzione del complesso si deve ad un gruppo di devoti del tempo, i quali, nei primissimi anni dopo il Mille, eressero l’abbazia utilizzando materiali ricavati da antichi reperti archeologici presenti sul posto.
Una volta ultimata, la struttura venne dedicata ai SS Pietro e Paolo. Ricevuto l’ordine dall’abate di Sora, i sacerdoti di Casamari indossarono l’abito religioso e si ispirarono alla Regola di San Benedetto, dando luogo al loro ritiro ascetico nell’edificio. La regola venne praticata sino a che, a causa dell’indisciplina di alcuni monaci e delle cattive condizioni in cui cominciò a versare l’abbazia, nel 1152 per decisione di papa Eugenio III ne venne affidata la gestione all’Ordine dei Cistercensi. Dopo la ristrutturazione, il passaggio di consegne, come testimoniato dal Cartarium, avvenne con la supervisione di San Bernardo, il quale era già stato ospite del monastero tra il 1138 ed il 1140. Da allora, i “monaci bianchi” (come furono chiamati i cistercensi per distinguerli dai benedettini, detti “monaci neri”), nei secoli, hanno rappresentato uno dei nuclei fondanti dell’intera storia di Casamari.
Con alterne vicende, il monastero visse periodi di autentico splendore ed altri di decadenza ed abbandono, balzando spesso al centro dell’attenzione dei papi, che ne disposero modifiche, ampliamenti di terreni e la erezione di ulteriori edifici adibiti ad intraprendere nuove attività. Fu così nel 1623, quando il pontefice Gregorio XV fondò la Congregazione Cistercense Romana nel tentativo di dare un nuovo impulso all’abbazia, rimasta con soli 8 monaci al suo interno.
Quasi un secolo dopo, nel 1717 Clemente XI vi introdusse una colonia di monaci cistercensi riformati detti “Trappisti”, con i quali fu avviato uno dei primi censimenti librari tramite la raccolta di tutti i volumi accumulati nel tempo. A seguito dell’allestimento della biblioteca, Casamari vide arricchito il suo patrimonio documentario grazie alla compilazione – operata dai monaci con lo stile degli antichi amanuensi – di testi liturgici e scritti cronachistici, i quali divennero oggetto di studio di ricercatori e docenti.
Più volte derubata di parte del suo materiale bibliografico, a fine Settecento dovette intervenire il vescovato di Veroli allo scopo di porre fine ai furti e dare luogo alla nuova schedatura dei testi e dei documenti.
L’episodio più drammatico vissuto da Casamari è riferito al 13 marzo del 1799, quando i francesi napoleonici, nel corso degli scontri con l’esercito borbonico avvenuti a Napoli, risalirono il Lazio e una volta giunti a ad Isola Liri, deviarono nell’entroterra ed irruppero nell’abbazia massacrando sette monaci che si erano rifiutati di fuggire. In relazione a questa testimonianza, come riportato nelle cronache dell’epoca, la Chiesa associò quell’eccidio alla Passione del Cristo, divenendo noto come “I martiri di Casamari del 13 maggio 1799”. Nel corso del processo risorgimentale e dell’Unità d’Italia, malgrado le resistenze mostrate dal pontefice Pio IX, nel 1874 l’abbazia fu requisita dallo Stato Piemontese e dichiarata monumento nazionale sino al 1929, quando venne restituita all’ordine cistercense.
Oggi Casamari, riportata al suo antico splendore, bonificata e ripulita, è dotata anche di una farmacia che vende generi alimentari, liquori ed estratti vegetali prodotti direttamente dai cistercensi grazie alle attività agricole intraprese dall’ordine in tutto il territorio italiano. La pianta dell’edificio – per gran parte in stile gotico – presenta un grande portico di entrata, un giardino con chiostro quadrangolare al suo interno ed un’aula capitolare per i raccoglimenti e le riunioni.
La chiesa, a pianta basilicale a tre navate, è collegata ad altre sale di età duecentesca le quali contengono degli splendidi reperti archeologici di epoca romana e sono collegate alla biblioteca. L’atmosfera sembra essere quella di un tempo, caratterizzata da una spiritualità e da un’austerità quasi percepibili nell’aria, e con i suoi silenzi dal sapore ascetico interrotti solo dal basso vociferare dei visitatori intenti a ammirarne le sue bellezze architettoniche, i suoi musei e la sua storica eleganza. Anche in questo Natale 2016 sarà possibile visitare il bellissimo presepio allestito nell’abbazia.