“Beato il paese che non ha bisogno di eroi!”, dichiarava il Galileo brechtiano, per giustificare la abiura della propria teoria eliocentrica di fronte al Santo Uffizio, nel 1616. Sono cresciuto con questa frase, che veniva ossessivamente ripresa ogni volta che occorresse spiegare il lassismo morale o peggio la pavidità di qualcuno. Va bene, non si può imporre a nessuno di essere eroico, però ancora più beato il paese che ogni tanto, magari per caso, riesce a sfornare qualche eroe!
Clint Eastwood, trumpiano e moralista, anarchico un po’ di destra, conservatore con una passione schietta per la giustizia e la verità, ci offre un film meraviglioso su una vicenda reale: “Sully”. Si tratta del pilota Sully – diminutivo affettivo per Chesley Sullenberger (interpretato superbamente da Tom Hanks)- che in una situazione di emergenza a due minuti dal decollo – un bird strike, l’urto frontale con un stormo di oche – tenta con successo l’improbabile ammaraggio sul fiume Hudson salvando la vita a 155 persone, il 15 gennaio 2009.
Poi dovrà affrontare una commissione di inchiesta e rischiare di essere incriminato per avventatezza (odiosi i funzionari che lo accusano: si sa, Clint odia i burocrati, il sistema, l’ottusità procedurale), ma ne uscirà vincente appellandosi al “fattore umano” contro la fallacia delle simulazioni elettroniche. Sully non si vive come eroe: fino alla fine dirà infatti di aver solo fatto il suo dovere, di aver svolto il proprio lavoro. Dunque: Eastwood, e la cultura americana, riesce a fare l’epica (commossa, mai retorica) di un eroe comune, ordinario, con le sue contraddizioni, i suoi affetti quotidiani e la sua paura della morte. Un eroe che non spara, che non ammazza (neppure a fin di bene), che non fa esplodere qualcosa, che non rade al suolo niente. E lo offre come esempio al nostro immaginario morale, un po’ prima del Natale. Vi pare poco?