Roma, incrocio tra via di torpignattara e via di acqua bullicante, quartiere centocelle: siamo di fronte all’esempio di melting pot forse più estremo in Italia. I numerosi bar gestiti da cinesi sono bazzicati da schiere di rumorosi immigrati dell’Europa dell’est. Dagli stretti vicoli fanno capolino vocianti ‘trans’ brasiliane, mentre giovani cingalesi passeggiano placidi sui marciapiedi invasi dalle colorate bancarelle degli arabi. L’Italia multietnica si riunisce ogni giorno nell’affollato tram che attraversa la casilina (già romanzato da Pasolini) in mille lingue e altrettante culture. Eppure, dalle parole degli avventori dei numerosi barbieri indiani si scorge un malcelato malumore. Non si nascondono i sentimenti di sospetto, soprattutto dopo i tragici attentati di Parigi e bruxelles, verso le genti di religione islamica.
“Qualcuno vuole a tutti i costi negare ai musulmani il diritto di avere un luogo di culto. Abbiamo assistito, qui a Roma, alla chiusura di 5 luoghi di preghiera, senza trattare l’argomento in modo più intelligente, che coinvolge tutti”. Lo denuncia Ben Mohamed Mohamed, presidente dell’Associazione Culturale Islamica in Italia e imam della Moschea Al Huda di Centocelle, a Roma, intervistato dall’agenzia Dire a margine di una tavola rotonda intitolata “Razzismo e islamofobia”, presso la sede romana Cigl di via Buonarroti. “La comunita’ islamica si è rivolta alle istituzioni per creare un tavolo e discutere del problema dei luoghi di culto, sapendo che non ovunque ci sono tutti i requisiti necessari. Il problema- continua Ben Mohamed- non si risolve con le sanzioni amministrative e con le chiusure, ma con il dialogo. Abbiamo espresso la volonta’ della comunita’ islamica per sedersi e cercare un tavolo per individuare i problemi e risolverli, per ogni singola realtà”.
Alla domanda sulla possibilità di fare le preghiere anche in lingua italiana, l’imam ha risposto: “Che il sermone venga fatto in due lingue, è un interesse proprio della comunita’ islamica stessa, è una necessità. In tante moschee si fa in arabo e italiano o in bengalese. Altri lo fanno nella propria lingua nazionale. Ma la lingua che unisce tutti quanti è l’italiano. Le persone che frequentano la mosche hanno bisogno di capire”. Ha poi aggiunto: “Il problema viene trattato come un argomento di sicurezza. Possiamo capire l’importanza del problema, ma quello della fede islamica non deve essere trattato soltanto dal ministero degli Interni come un problema di sicurezza”.
La difficoltà delle comunità islamiche europee è far capire la distanza che c’è tra loro e le reti del terrorismo islamico: “La comunità islamica dal 2001 sta facendo una lotta grandissima contro queste accuse. Si è sempre dissociata da questi fenomeni. Con tante difficoltà è riuscita a guadagnare credibilità e ad affrontare le campagne mediatiche che vogliono creare questa diffidenza, questa islamofobia”. Infine, a una domanda su cosa ne pensasse delle idee in materia di immigrazione e integrazione del nuovo presidente americano, Donald Trump, ha detto: “Questo non è lo spirito della politica che dovrebbe guidare il mondo di oggi, che invece di creare conflitti problemi e divisioni, dovrebbe unire e creare integrazione culturale. Questo è lo spirito che i politici dovrebbero portare nel mondo oggi. Purtroppo ci sono alcuni, come Trump, che vanno nella direzione opposta. Un fenomeno che sta crescendo anche in Europa soprattutto dopo gli attentati. La strumentalizzazione mediatica e politica di questi avvenimenti crea paura, odio e divisioni. Quando c’è questo si perde la capacità di ascoltare, di conoscere, di capire l’altro”.