L’economia globale ha due facce, quella legale e quella illecita. La prima viene rappresentata dal Pil dei vari Paesi, l’altra, la faccia oscura, solo recentemente è stata in qualche modo contabilizzata nelle statistiche ufficiali. Quest’ultima, tuttavia, nonostante sia deplorata e “combattuta” (talora soltanto a parole) dagli Stati e dai Governi, contribuisce sensibilmente al processo complessivo di accumulazione del capitale. In altre parole, alimenta corposamente la ricchezza delle nazioni, come direbbe Adam Smith. Gli anelli di giunzione fra i due cicli sono costituiti dai “paradisi fiscali” che fungono da “lavatrici del denaro sporco”. Pozzi senza fondo nei quali gli introiti derivanti dalle attività criminali vengono inghiottiti e depurati dalle tracce della loro provenienza illecita, quindi reinseriti nei circuiti economico-finanziari ufficiali, andando ad alimentare la domanda globale e a promuovere la crescita. Abbiamo a che fare, dunque, con due universi apparentemente paralleli, ma in realtà intersecati, che si sostengono reciprocamente, a dispetto degli appelli ipocriti dell’establishment internazionale, totalmente permeato dalla contraddizione fra la realtà e la sua rappresentazione. Lo dicono i fatti, non i teoremi ideologici.
“Sebbene il presidente del Consiglio abbia abolito per legge la black list dei paradisi fiscali, ad esempio, l’Unità d’informazione finanziaria della Banca d’Italia (Uif) continua ostinatamente a considerare nelle sue segnalazioni sul riciclaggio e sul finanziamento del terrorismo e dei programmi di proliferazione di armi di distruzione di massa, Paesi divenuti notoriamente “amici” come la Svizzera, Hong Kong e Abu Dhabi… – scrive Il Fatto Quotidiano in un documentato articolo – l’Ufi ridisegna anche un’inquietante cartina del riciclaggio dell’Italia, in cui segnala che nel primo semestre del 2016 la più alta concentrazione di bonifici provenienti da paesi a fiscalità privilegiata e “non cooperativa”, si registra in Toscana, nell’area confinante con la Svizzera, sulla costa e nell’entroterra pescarese, nel Nord della Sardegna (Costa Smeralda), nella provincia di Catanzaro e nel Leccese”. Dei 34 miliardi e 893 milioni di euro entrati o rientrati in Italia solo nei primi sei mesi dell’anno, 21 provenivano dalla Svizzera e 6 da Hong Kong. Seguono a distanza Abu Dhabi, Singapore, il principato di Monaco, Taiwan, Dubai, Malaysia, Libano e una new entry, la Bosnia Erzegovina. Nel frattempo, hanno invece preso il volo per i paradisi fiscali, via bonifico, 30 miliardi e 453 milioni di euro. Questi i dati relativi al primo semestre dell’anno.
Non a caso, le mafie transnazionali puntano molto sul riciclaggio del denaro sporco in aziende e in operazioni finanziarie legali, proprio allo scopo di dare nuova “verginità” ai soldi ricavati dal malaffare. In Italia si verifica un vero e proprio boom del fenomeno. Nel primo semestre del 2016, l’Uif di Bankitalia ha ricevuto da banche, poste e intermediari vari 52.049 segnalazioni di operazioni sospette, il 33,6% in più dell’anno scorso. In netto aumento, anche se si sottraggono le 13 mila segnalazioni effettuate da professionisti e avvocati alle prese con le richieste di rientro di capitali illegali all’estero con la voluntary disclosure e che non possono derogare alle norme anti-riciclaggio. L’incremento si è concentrato al Centro Nord, in particolare in Lombardia, dove le segnalazioni sono aumentate dell’84% e del 50,5% in Liguria. Segue il Piemonte con il 35,8%, il Veneto (+ 28,3%), l’Emilia-Romagna (+27,9%) e la Toscana (+25%). Oltre 52 mila sono state trasmesse dalla Banca d ‘ Italia agli organi investigativi, il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza e la Dia. 12 mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Cresciute in misura rilevante anche le operazioni sospette legate al finanziamento del terrorismo: 306 nel primo semestre di quest’anno contro le 273 pervenute nell’intero 2015. L’Unità della Banca d’Italia, infine, pone l’accento anche su un altro aspetto del fenomeno: l’uso del contante nelle transazioni commerciali, che si mantiene costante nel tempo nonostante le restrizioni imposte per legge. Una prassi diffusa soprattutto nel Mezzogiorno.