“Sollecitati dalla cronaca, abbiamo dedicato molte energie al tema dello scioglimento dei Comuni e il lavoro è maturo per essere portato in Parlamento. La legge sullo scioglimento dei Comuni è del 1991 e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata molta: questa misura, che ha dato frutti positivi, ha avuto un ampio tempo di sperimentazione; siamo pronti per fare una riforma”. E’ l’opinione espressa dal presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, intervenendo al convegno “Le infiltrazioni mafiose negli enti locali”, tenutosi a Roma. Bindi ha ricordato che dal 1991 al 2001, prima della riforma del Titolo V, lo scioglimento ha riguardato 162 casi; dal 2002 al 2016 239: già i numeri parlano da soli “I primi Comuni sciolti per mafia erano del Mezzogiorno con pochi abitanti; da allora abbiamo assistito allo scioglimento di Comuni sempre più grandi e con numerosi abitanti. E’ chiaro che non possiamo pretendere che una legge del ’91 pensata per piccoli Comuni, possa funzionare oggi senza cambiamenti. Come Commissione parlamentare, sollecitati soprattutto dal caso Roma, abbiamo chiesto al Governo di interrogarsi se l’alternativa dissolutoria e assolutoria dello scioglimento o non, è uno strumento adeguato per una realtà così complessa come quella odierna”. Secondo la Bindi, “ci dobbiamo interrogare se questa patologia dello scioglimento, questo intervento che è una violenza per la democrazia, è lo strumento più adeguato, ma anche se il non scioglimento può essere considerato una scelta assolutoria. Riflettendo su Roma si chiedeva una sorta di terza via: sciogliere la capitale d’Italia era un intervento forte, impegnativo, ma il non scioglimento non può significare assoluzione, non c’erano i termini per assolvere. Perfino una piccola mafia come mafia capitale era riuscita a incidere. La misura che scelse il governo per Roma la considerai saggia a legislazione vigente, ma può funzionare senza sapere a chi spetta l’ultima parola?”, ha osservato Bindi. “Chiediamo al Governo di porsi il problema se lo scioglimento possa essere un vulnus alla vita democratica e prevedere in questi casi di non passare automaticamente all’assoluzione ma prevedere una sorta di tutoraggio in cui la politica non viene sostituita ma viene affiancata dal governo con poteri effettivi, soprattutto nei settori in cui si sono verificate le criticità. Questa che era apparsa la soluzione per Roma potrebbe essere prese in considerazione per comunità solo apparentemente meno prestigiose: dalla locride a Corleone ad alcune realtà della Campania e del nord Italia”, ha proseguito Bindi. Per la presidente dell’Antimafia, poi, è “necessario riformare anche il prima, il durante e il dopo”. “Non è pensabile – ha osservato – che chi fa il lavoro di commissario a Limbadi a Lodi o a Platì abbia un incarico in un’altra prefettura a 300 km di distanza: il prefetto, il viceprefetto, devono dedicarsi a quella comunità 24 ore su 24 e deve essere personale specializzato: nelle commissione prefettizie ci sono persone vocate a fare quel lavoro, altre meno. Si deve avere anche il potere di spostare un funzionario se è colluso con le cosche”. E una volta finito il commissariamento, “la politica non può essere lasciata sola, il sindaco appena rieletto non ce la può fare da solo. I partiti investono negli enti locali? Io parlo di casa mia”, ha concluso Bindi, ricordando che alle ultime amministrative “non abbiamo prestato le liste in alcuni comuni; i partiti politici devono avere un settore dedicato alla formazione negli enti locali”.