I fabbricati rurali non sono automaticamente esenti dall’imposizione Ici. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 16179 del 3 agosto 2016, rivedendo la tesi espressa con alcune pronunce del 2015. In altre parole, ha affermato che non va dato seguito alle sentenze con le quali è stato sostenuto che conta solo la ruralità degli immobili per avere diritto ai benefici fiscali, precisando inoltre che le autocertificazioni presentate dagli interessati per l’annotazione di ruralità possono avere effetto retroattivo, ma limitato ai 5 anni precedenti, sempre che abbiano fatto domanda di variazione catastale nelle categorie A/6 o D/10. Pertanto, secondo i giudici di legittimità, i possessori di fabbricati utilizzati per l’esercizio dell’attività agricola possono reclamare l’esenzione Ici solo se abbiano ottenuto l’iscrizione catastale di questi immobili nelle categorie A/6 (destinati ad abitazione) o D/10 (destinati alla manipolazione, trasformazione e vendita di prodotti agricoli). Ciò costituisce «un presupposto necessario e indefettibile» per l’esclusione del fabbricato dall’assoggettamento all’Ici. Sono, di conseguenza, da disattendere alcuni precedenti della stessa Corte (Cass. 16973/2015; 10355/2015; 14013/2013) secondo i quali l’esenzione spetterebbe al contribuente in ragione del solo carattere di ruralità dell’immobile. Le variazioni catastali e le annotazioni di ruralità richieste dai titolari di fabbricati rurali hanno effetto retroattivo per i cinque anni antecedenti a quello in cui sono state presentate le relative domande. Lo prevede l’articolo 2, comma 5-ter del dl 102/2013, in sede di conversione nella legge 124/2013. L’efficacia retroattiva di questa disposizione d’interpretazione autentica può arrivare fino all’anno d’imposta 2006, considerato che i contribuenti avrebbero potuto inoltrare le prime istanze di variazione entro il 30 settembre 2011. Il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 26 luglio 2012 ha indicato quali adempimenti siano tenuti a porre in essere i titolari dei fabbricati interessati a ottenere l’annotazione negli atti catastali della ruralità, al fine di fruire anche per l’Imu delle agevolazioni. Va ricordato, però, che per quest’ultimo tributo sono escluse dai benefici le unità immobiliari utilizzate come abitazione. In base alla norma citata, quindi, le domande di variazione catastale, disciplinate dall’articolo 7, comma 2-bis, del dl 70/2011, e l’inserimento negli atti catastali della ruralità degli immobili producono effetti per i 5 anni antecedenti a quello in cui sono state presentate. Quindi non c’è più alcun dubbio, come è accaduto in passato, sulla valenza retroattiva delle istanze, ma nei limiti temporali fissati dalla norma sopra citata. Per i fabbricati rurali conta l’annotazione catastale per l’esenzione Ici e Imu, mentre per la Tasi gli interessati hanno diritto solo a fruire di un’aliquota agevolata. Se è stata presentata in catasto l’autocertificazione che attesta la sussistenza dei requisiti di legge entro il 30 settembre 2012, al titolare dell’immobile rurale spetta l’esenzione Ici anche per i cinque anni precedenti. Alla stessa agevolazione hanno diritto i possessori di fabbricati strumentali censiti nella categoria D/10, perché l’inquadramento in questa categoria certifica la loro ruralità (cfr la commissione tributaria regionale di Milano, sezione staccata di Brescia (67), con la sentenza 1014/2016.