Uno dei tanti dei problemi che le nostre produzioni agroalimentari devono risolvere è come rispondere alla domanda di mercato mantenendo un livello qualitativo di tipo artigianale e senza confondersi con le produzioni di massa. A tal fine le innovazioni devono svilupparsi senza modificare l’equilibrio tra le materie prime, le tecniche di lavorazione e la riconoscibilità del prodotto come artigianale. Si tratta quindi di trovare una mediazione, non sempre facile, tra le esigenze della produzione per il mercato e l’autenticità del prodotto. Come molte analisi del settore ci dimostrano, questa sintesi è stata raggiunta con soluzioni originali. Nella produzione del vino in Sardegna, ad esempio, le innovazioni tecnologiche hanno permesso il raggiungimento di notevoli livelli di qualità, compiendo la scelta delle produzioni rivolte al mercato non solo regionale e nazionale, ma anche internazionale. Ciò che ha trovato un nuovo ruolo nel circuito produttivo non è tanto il sapere contadino della tradizione riguardante le tecniche di trasformazione e di conservazione, ma le conoscenze relative al territorio in cui l’azienda opera, le caratteristiche peculiari della terra e dei vitigni. Il suolo e il sottosuolo, le loro composizioni geologiche, le varie erosioni intervenute per fattori chimici, fisici e biologici, i microrganismi, la macrofauna, la concimazione minerale in aggiunta alla concimazione organica, i molteplici approvvigionamenti idrici, ventilazione e umidità fanno in modo che un determinato vitigno ( o altra coltura) impiantato in un terrior abbia caratteristiche uniche.
C’è infine da considerare che l’Italia è il Paese con le regole produttive più rigorose per quanto riguarda le caratteristiche dei prodotti alimentari: dal divieto di realizzare pasta con grano tenero a quello di utilizzare la polvere di latte nei formaggi fino alla proibizione di aggiungere zucchero nel vino. Regole che non valgono in altri Paesi dell’Unione europea, dove assistiamo ad un crescendo di surrogati, una miriade sottoprodotti che snaturano l’identità degli alimenti stessi.
L’agricoltura italiana è oggi la più verde d’Europa, quella con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti di origine Dop/Igp che salvaguardano terrior, tradizione e biodiversità. Per questo non vorremmo seguitare a vedere il sedicente “Tuscan olive oil” imbottigliato in Inghilterra in vendita sugli scaffali dei negozi londinesi o trovare siti web che sorprendentemente pubblicizzano kit utili per fare in casa il vino Lambrusco, Barolo o l’Amarone. Quella della conoscenza dei veri prodotti Dop e Igp è una sfida importante per tutti i mercati, per la quale occorre un piano di sostegno che preveda azioni concrete contro la contraffazione e l’Italian sounding.