San Francesco e noi, san Francesco e il mondo contemporaneo, nel momento in cui un papa ha deciso di richiamarsi al poverello di Assisi. In Se tornasse san Francesco, del 1982, Carlo Bo scrive: se tornasse neanche lo riconosceremmo, e se lo riconoscessimo “faremo finta di non sentire e non gli apriremo”.
Bo mette in evidenza la incompatibilità tra morale francescana – scandalosamente fondata sulla povertà, sul non possedere – e il nostro stile di vita: “è il principio stesso della nostra economia che contraddice l’idea evangelica di san Francesco”. Come aveva già detto Lucien Goldmann in un prezioso libretto degli anni ’60, L’illuminismo e la società moderna: “la vita economica del cittadino borghese è indifferente ai valori e soggiace all’unico, immanente criterio categoriale del successo o dell’insuccesso”.
Nel nostro paese si tende a rimuovere la macroscopica contraddizione tra la dolce “follia” del Vangelo e la modernità borghese. Come se non ci riguardasse! Ma Carlo Bo, educato sulla tradizione cattolica francese, ben più radicale della nostra, quella dei Bloy, Péguy, Bernanos, Maritain, Mauriac e financo di uno spirito tormentato come Gide, si chiede se “sinceramente, siamo ancora cristiani, lo siamo mai stati?”.
Eppure il cristianesimo, benché “per la massima parte inattuabile”, benché giudicato irrealistico dai filosofi greci e dal mondo pagano, si rivela anche, sorprendentemente, come “la più bella delle tentazioni” In cosa ci tenta? Ci mostra una diversa cognizione della realtà: “ci avverte che la realtà vera sta altrove”, non nel calcolo del nostro utile e delle convenienze ma nella purezza del cuore, nell’amore, nel perdono, tutte cose che potrebbero comportare una “perfetta letizia”.
Ed è il messaggio di Dante, che nel Purgatorio va oltre l’etica di Aristotele, oltre la giustizia stessa per mostrarci il perdono. Non si tratta ovviamente di un esito garantito, ma di una “tentazione”, della scommessa pascaliana su una ispirazione morale che misteriosamente (e gioiosamente) può schiudersi nel quotidiano.
In Siamo ancora cristiani? (1964) Bo richiamandosi al suo Charles Peguy denuncia la mancanza di carità, che – soprattutto – impedisce al cristianesimo di essere una religione del cuore. Non reclama ritorni alle origini ma solo “cose concrete”, per “riuscire a riportare la parola di Cristo dentro di noi”.
Il papa Francesco ha invece messo la carità, e anzi la misericordia (eccesso di carità, “inaudito straripamento”) al centro del suo messaggio. Ne saremo all’altezza?