Le smart city sono ormai una tendenza mondiale, un’onda lunga che sta mutando volto e struttura delle città del pianeta. Anche la Cina, nazione sterminata dalle millenarie tradizioni, ne è contagiata. Un esempio per tutti. Viali ampi, in stile californiano, a tre corsie per ciascun senso di marcia, scooter elettrici che svicolano silenziosi riducendo rumore e inquinamento, cestini della spazzatura “intelligenti”, che capiscono quando sono pieni e avvertono i camion che è tempo di passare per la raccolta. Ai lati delle strade svettano grandi palazzoni tutti uguali, accatastati come pezzi di Lego e in gran parte disabitati. Stiamo parlando di Yinchuan, capitale della provincia di Ningxia, nel nord est del Paese, distante dalle megalopoli di Shanghai e di Pechino, che si propone come esperienza da imitare, lodato dai funzionari del partito comunista centrale e studiato dalle decine di rappresentanti di città straniere che nei giorni scorsi si sono dati appuntamento sul posto per la conferenza “Smart City in Focus” organizzata dall’associazione no-profit TM Forum. In pochi anni Yinchuan è passata da cinquecentomila a più di due milioni di abitanti, ma resta ancora di dimensioni limitate, rispetto alla media nazionale. «Non siamo troppo vicini o lontani da Pechino, il clima non è né troppo caldo né troppo freddo, la città non è grande, ma nemmeno piccola – ha detto il vice-sindaco Guo Baichun». Un humus ideale, in altre parole, che il Governo centrale e quello locale stanno utilizzando per sperimentare soluzioni per poi eventualmente applicare altrove.
Un grande programma di urbanizzazione statale, varato due anni or sono, prevede di trasferire 250 milioni di persone da zone rurali nelle città entro il 2026. Ciò significa sia creare nuovi agglomerati da zero, col rischio di dar vita a delle “ghost town”, che riprogettare quelli storici, come Yinchuan. La tecnica per trasformare quest’importante città – uno snodo fra Arabia e Cina, con forti legami con gli Stati del Golfo e una forte minoranza musulmana – è quella della partnership pubblico-privato: l’infrastruttura digitale, la “nuvola” che raccoglie i dati provenienti da videocamere, etichette Rfid e sensori, per poi convogliarli in un grande centro di controllo, così come gran parte dell’hardware, sono forniti da Zte, la multinazionale di Shenzhen con stretti legami con i vertici del Palazzo.
Di circa mezzo milione di veicoli privati in circolazione, trecentomila sono stati equipaggiati con etichette Rfid in grado di tracciare ogni movimento. In questo modo l’amministrazione è in grado di prevedere e monitorare in tempo reale i flussi di traffico, aggiustando perfino la durate dei semafori agli incroci, se necessario. Di certo Smart City in Focus, oltre a incentivare lo scambio di buone pratiche fra città di varie parti del mondo – da Johannesburg a Toronto, da Masdar City negli Emirati Arabi a Saint-Quentin in Francia, da Atlanta e New York a Barcellona – ha anche messo in luce come non esista una ricetta unica per la creazione di una città intelligente. L’approccio centralizzato, che sembra funzionare in Cina, non ha dato finora buoni risultati a Masdar. Città che erano avviate a diventare punti di riferimento nel settore come Barcellona, a causa dei cambiamenti nel quadro politico, sembrano aver registrato una battuta di arresto e addirittura un ripensamento.