Le periferie sono spesso sinonimi di degrado, marginalità e malavita, ma in qualche caso possono essere anche laboratori d’innovazione e di sviluppo. Un esempio in tal senso viene da Settimo Torinese, cittadina piemontese a poca distanza da Torino, che ha avanzato la propria candidatura a Capitale italiana della Cultura 2018. Non si tratta di una località ricca di monumenti antichi, chiese e musei, paesaggi mozzafiato, bensì di una località segnata dalla voglia di costruire un futuro migliore, caratterizzata dall’orgoglio di sentirsi una comunità a prescindere dalla provenienza geografica. Già negli anni ’50 e ’60 la città dimostrò lungimiranza, quando da ex borgo di lavandai di circa 13.000 abitanti, arrivò ad accogliere 30.000 persone provenienti dal Polesine e dal Sud Italia, rendendole parte integrante del territorio. Una manifestazione di ospitalità che si rinnova anche oggi grazie al Centro Fenoglio, il più grande hub di Prima Accoglienza e Richiedenti Asilo del Nord Italia, in cui un flusso ininterrotto di disperati approda nella speranza di scampare a un destino infausto. Proprio di questo rispetto nei confronti dell’umano è figlia l’attenzione al “saper fare”, una forma di cultura che a Settimo passa dall’industria, certo, ma anche dalla scienza, dalla creatività, dallo sviluppo sostenibile, e dalla voglia di riscatto nata in quartieri popolari afflitti dal disagio sociale. La coesione sociale nelle periferie, grazie al Teatro Laboratorio Settimo fondato da Gabriele Vacis negli anni ’70 (dove sono fioriti talenti come Gabriele Paolini e Alessandro Baricco); la reindustrializzazione puntata su ricerca, innovazione e sostenibilità grazie all’investimento di centinaia di milioni di euro da parte di Lavazza, L’Oreal e Pirelli (quest’ultima ospita nella fabbrica altamente tecnologizzata uno degli edifici più innovativi di Renzo Piano, una Spina completamente vetrata lunga 400 metri e con un tetto di pannelli solari); la Biblioteca Archimede, che ha sede nella ex fabbrica di vernici Paramatti, con oltre 400.000 utenti annui (quasi 4 volte la media nazionale) e 140.000 prestiti (circa 3 volte la media nazionale); il vecchio Mulino diventato Ecomuseo, e infine La Siva (la fabbrica di vernici dove Primo Levi lavorò per 28 anni) ora in fase di ristrutturazione per diventare uno nuovo spazio culturale della città. Sono questi i gioielli che Settimo Torinese mette sul piatto a sostegno della candidatura.
“La bellezza di questa candidatura sta nel racconto, nella possibilità di portare un dibattito sul centro e sulle periferie a livello nazionale. È una candidatura anomala ne siamo consapevoli, ma non arrogante, perché non è in contrapposizione con le Città d’arte classiche. Vuol essere semplicemente un’altra che forse merita di essere raccontata – commenta Elena Piastra, vice sindaco di Settimo Torinese, e aggiunge – Ci piace l’idea che la nostra generazione si prenda la responsabilità di costruire la cultura del presente da lasciare in eredità agli italiani di domani, non possiamo solo vivere delle bellezze storiche del nostro meraviglioso Paese: è il nostro turno di rimboccarsi le maniche, e costruire una cultura di integrazione, tecnologia, architettura sostenibile, e noi a Settimo l’abbiamo fatto”.