Pubblichiamo un contributo al ‘Giornale dei Comuni’ dello scrittore Guglielmo Maccioni
E’ sera. State passeggiando in Avenida 9 de Julio a Buenos Aires mentre sul Palazzo del Ministero del Lavoro lentamente si accendono le ieratiche linee che compongono l’effigie pop di Evita; così immersi nel cuore di questa fascinosa e caotica metropoli non sospettereste neppure che il suo stesso nome derivi da una statuina in legno di carrubo di poco più di un metro e mezzo di altezza collocata all’interno di un Santuario di una città di provincia italiana. Cagliari è probabilmente la più spagnola delle città italiane. Lo è nel vernacolo dei suoi quartieri storici, lo è perché Napoli e Palermo erano troppo partenopea e troppo siciliana anche per la Corona di Spagna mentre Cagliari non era abbastanza sarda, lo è persino nel nome giacché Callari – come la chiamavano i Pisani – pronunciato dai nuovi invasori Aragonesi divenne Cagliari. La fisionomia del capoluogo sardo per come la conosciamo oggi data proprio a cavallo dei secoli XIII e XIV, quando i Pisani prima e gli Aragonesi poi ne disegnano confini e quartieri e ne stabiliscono l’ordinamento comunale. I toscani radono al suolo l’altomedievale Santa Igia (Santa Cecilia) borgata cui s’era ridotta l’antica Karalis romana dopo il crollo dell’Impero e collocata più o meno all’altezza dell’attuale quartiere Sant’Avendrace e dal 1250 circa ricostruiscono la nuova Callari sul colle di Castello consolidando e fortificando con poderose mura un villaggio fino a quel momento periferico. Passa poco tempo e nel 1324 gli iberici si stabiliscono sul colle di Bonaria (Buen aria), due km a est della Callari pisana. E’ qui che sorgerà una chiesetta al cui interno troverà posto una statuina in carrubo della Vergine che salvò da un naufragio un bastimento in transito al largo della città divenendo così simbolo di devozione per i marinai dell’epoca. Ed è da qui che gli spagnoli due anni dopo partono alla conquista dell’intera città e dell’intera isola facendone un regno satellite della Corona per quasi quattro secoli, sino al Trattato dell’Aia che assegnò la Sardegna ai Piemontesi. Ma il marchio di una specie di enclave castellana Cagliari non se lo toglierà più. La città ospitava parecchi nobili catalano-aragonesi (un pallido riflesso di ciò lo si è sempre avvertito nel distacco altezzoso ostentato nei confronti del suo contado), possedeva le stesse garanzie costituzionali di Barcellona, rappresentava un importante scalo nella rotta Valencia – Napoli e, secondo gli storici, nel XV secolo era più popolosa di Madrid. Il secolo e mezzo di dominio piemontese non stravolse l’urbanistica cittadina – a parte qualche edificio di rilievo – semplicemente si limitò a intingere il carattere dei suoi abitanti in un balsamo di savoiarda riservatezza. All’Unità d’Italia la cittadina conta circa 30.000 abitanti, è ancora per certi versi rannicchiata all’interno delle proprie mura ma da quel momento, con la demolizione di quelle prospicienti il mare e confinanti con le borgate limitrofe, incomincia quel cammino che la porterà a consolidare e potenziare la sua vocazione di porta commerciale e direzionale dell’intera isola. L’ultima guerra porta in eredità le devastazioni dei bombardamenti del febbraio ’43 (si conteranno circa 2.000 morti e verrà pesantemente danneggiato almeno il 60% degli edifici) e una piccola, magrissima ma dolce consolazione: per la prima volta su suolo europeo Glenn Miller eseguì a Cagliari Sun valley serenade, il mirabile pezzo che diventerà la colonna sonora dell’avanzata dei Liberators. L’esecuzione venne trasmessa dai microfoni di Radio Sardegna che occupava uno stabile ai margini di un’area dove ora sorge l’Ospedale di Is Mirrionis nel quartiere omonimo. In quei giorni, sempre da quei microfoni, si esibiva – approfittando della presenza delle orchestrine al seguito degli americani – un brillante quintetto jazz locale, gli Aster, in cui militava un giovanissimo soldato di stanza in Sardegna, Fred Buscaglione. Dopo decenni di abbandono del centro storico, conseguenza del tumultuoso e caotico sviluppo del secondo dopoguerra, l’orgogliosa riscoperta delle proprie origini e della propria storia è un fenomeno che ha investito anche il capoluogo sardo. Oggi le viuzze colorate di Stampace o Villanova, quartieri artigiani sorti a ovest e a est della fortezza di Castello possono benissimo rimandare con la mente alle calles di certe cittadine iberiche o all’Alfama di Lisbona. Il restauro dei vecchi quartieri ha restituito a una città non ricchissima di monumenti eccezionali un vernacolo elegante, esaltato da scenografici saliscendi per i colli che caratterizzano l’orografia del luogo e da cui si aprono sorprendenti viste sul golfo e sugli stagni circostanti. Oggi la città cerca di ritagliarsi faticosamente il suo ruolo nel maremagno del terziario avanzato dai tempi dell’apertura del primo sito internet in Italia nel 1993 grazie alla presenza di un importante centro di calcolo di rilievo internazionale – il CRS4 – che ha anche contribuito a formare un tessuto imprenditoriale di una certa importanza nel campo del web. Certo è strana e curiosa la Storia se dalla quiete penombra di una chiesetta sul mare del medioevo italiano riesce a portarti al cospetto di un’icona del XX secolo, madrina di una delle più grandi e affascinanti metropoli del globo.