1. Una domanda
Stendo queste considerazioni da ex Sindaco di un Comune di circa diecimila abitanti poco distante da Roma che ho amministrato per dieci anni. Nel seguire le cronache – e i successivi commenti – sul comizio di Salvini a Napoli mi è venuto spontaneo chiedermi: come mi sarei comportato se mi fossi trovato al posto di De Magistris ? In termini più generali: come si deve comportare un Sindaco qualora ritenga che un esponente politico, che ha espresso in passato giudizi dispregiativi sui cittadini – sul ‘popolo’ – che lui amministra, tenga un comizio nella città della quale è il primo cittadino (e, in qualche misura, il primo rappresentante) ?
2. Le probabili risposte
La risposta più ovvia è il sarcasmo faceto, l’ironia che ridicolizza o – come ha detto Mentana – la pernacchia: come? non eravamo il male dell’Italia dal quale separarsi? perché, adesso, vieni da noi proponendoci ricette che fino a poco tempo fa giudicavi storicamente, antropologicamente, strutturalmente, quasi razzialmente, impossibili? da quando siamo diventati un ‘popolo’ degno del tuo verbo? e chi ti può credere, se fino a ieri sostenevi che eravamo un ‘popolo’ irrecuperabile, una iniqua tassa sulle regioni laboriose del Nord, una comunità di consumo solo parassita, destinata al costante degrado perché incapace di alcunché?
A ben vedere, dietro la ‘discesa’ di Salvini si poteva leggere un riconoscimento di uguaglianza, di parità, di eguale considerazione, del quale il Sindaco avrebbe potuto considerarsi il primario artefice di questo riscatto: toh, guarda, adesso i ‘nordisti’ si accorgono che anche noi – italiani del Sud, pur con i nostri tanti problemi – contiamo tanto quanto gli italiani del Nord; mettiamoci dunque a lavorare insieme e vediamo di risolverli. E invece no. Più o meno sette ore di guerriglia urbana per un comizio ! Uno spettacolo davvero penoso, triste e, con tutta probabilità, emblematico della ‘diversione’ dei grandi problemi che il Paese deve affrontare (produttività, debito pubblico, sistema delle infrastrutture ecc.). Una sorta di metafora dell’impotenza perché si riesumano i pregiudizi, ci si divide, si litiga, quando non si è capaci di dare risposte concrete ai problemi.
3. Fallaci politiche e populismi
A ben guardare, tre sono infatti le ‘fallaci politiche’ di questo caso. La prima è, appunto, una ‘fallacia di spostamento’: il recupero e l’affastellamento di fisime inconsistenti (anche sportive) per nascondere ed evitare la concretezza non più rinviabile delle difficoltà dei territori: una fallacia, dunque, antica, tipica dell’impotenza, dell’occultamento e della rinuncia da parte delle classi dirigenti (locali e nazionali) nell’affrontare i problemi. L’ideologia (ma anche la rimozione psicologica) non è altro, in fondo, che questa fallacia. La seconda – conseguente alla prima – è una fallacia che potremmo definire ‘della falsità dialogica’ (o, forse con qualche sussiego, pseudo-epistemologica): non si trattano i problemi per sé, ma ci si confronta per ‘pre-testi’. In questo caso: il pre-testo del (reciproco) ‘razzismo’: una ‘estrinsecità’, una ‘banalità’, un non-problema, vengono inventati o provocati per evitare la coerente trattazione dei problemi e delle possibili soluzioni. Ma che cos’è la democrazia, se non questa pratica del dialogo? E se si è preda di questa fallacia come si può credere nel metodo democratico di risoluzione dei problemi?
La terza fallacia – che deriva dalla seconda, che potremmo anche chiamare della ‘democrazia apparente’ – è la fallacia populista: si afferma di dar voce al ‘popolo’ (chi non ricorda le parole: I’m your voice ?) proprio per non discutere. E che cos’è il populismo se non una fallacia di spostamento, di falsità dialogica (di democrazia apparente) e l’uso del ‘popolo’ per non inquadrare i problemi, dare forma coerente ai mezzi di soluzione e individuare gli itinerari (di breve e di lungo periodo) di soluzione delle difficoltà?
4. Quando i populismi s’incontrano
Non è, allora, non del tutto ingiustificato affermare – credo sia questa la tesi (non tanto) sottotesto dell’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal prof. Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale – che quando i populismi s’incontrano non possono che ‘scontrarsi’ e, qualora, vi siano i giusti ingredienti, sfociare inevitabilmente nella violenza. L’episodio di Napoli non è banale e probabilmente non è nemmeno un episodio; è forse l’esempio dell’Italia di questi tempi: dell’impotenza delle nostre classi dirigenti e della loro incapacità a definire e a spiegare al ‘popolo’ i modi e i percorsi di superamento delle nostre difficoltà. Un Sindaco amministra con un solo obiettivo: amministrare bene. Una volta eletto non si deve preoccupare delle opinioni politiche dei suoi cittadini, ma solo del programma per il quale è stato eletto e del buongoverno della suo territorio.