Al G7 Energia (Roma 9-10 aprile 2017) è stato raggiunto il consenso su molti temi importanti (quali lo sforzo congiunto per sostenere la sicurezza energetica dell’Ucraina, il ruolo futuro del gas naturale, l’interconnessione tra le diverse fonti, la cibersicurezza), ma “l’impegno a implementare l’Accordo di Parigi sul clima, che rimane forte e deciso” è stato confermato – da parte dei membri del G7 e dall’Unione Europea – senza gli Usa.
L’atteggiamento degli altri 6 Paesi del G7 – e della Commissione europea (UE) – lo conferma: l’energia del futuro non può non tenere conto del cambiamento climatico in atto, e di tutto quanto questo comporta: scioglimento dei ghiacci, desertificazione – favorita anche dal parallelo progressivo aumento del taglio delle foreste – alluvioni, maremoti ed eventi estremi, erosione delle coste, cambiamento geografico sempre più veloce nelle coltivazioni agricole quali ad esempio la vite, migranti climatici ecc.). La dichiarata spinta degli Usa – a guida Donald Trump – su carbone e petrolio non può frenare né il mondo, né l’Europa.
Tuttavia le incertezze si moltiplicano, e non solo sulla continuità dell’impegno degli Usa al rispetto degli accordi di Parigi per ridurre le emissioni inquinanti. In questo nuovo contesto – è lecito chiedersi – cosa faranno giganti inquinanti, quali India e Cina; oltre che europei e Unione europea (già divisa tra Paesi più impegnati nella tutela dell’ambiente e paesi -fortemente dipendenti dall’energia fossile – che frenano)? Vorranno rispettare gli impegni presi a Parigi, lasciando l’America libera di inquinare a proprio piacimento? Quanto durerà? Vanno immaginate delle contro-misure? E – ancora – quale ruolo per le città? Visto che qui saranno spesso chiamati in causa la Cop 21 e l’Accordo di Parigi (il cui obiettivo è di mantenere un innalzamento del termometro di soli 2 gradi entro la fine del secolo, e possibilmente anche meno, cioè 1,5 gradi), temi su cui mi sono soffermata (esiti della COP 21 e anche della COP 22) in particolare in due articoli: http://www.gdc.ancitel.it/18177-2/ e http://www.gdc.ancitel.it/lotta-ai-cambiamenti-climatici-risultati-impegni-e-prospettive-della-cop-22/#.WDbJAI1V9s4.twitter.
Ma procediamo con ordine. Cosa differenzia l’Amministrazioni di Donald Trump da quelle di George Bush e Barak Obama? E come hanno reagito – a caldo – gli europei all’impossibilità di giungere a una Dichiarazione congiunta al G7 energia (aprile 2017)?
TRUMP E CLIMA: RITORNO AL PASSATO – Negli Usa, D. Trump segna un ritorno a vecchie – oltre che pericolose – posizioni negazioniste della crisi climatica, e le sue cause? Questo timore non mi sembra infondato. Basti pensare a quanto dimostrato dal bel libro – L’assalto della ragione – di Al Gore (premio Nobel della pace) in merito all’amministrazione Bush che – “ignorando le opinioni della comunità scientifica, e facendo affidamento sulle valutazioni delle grandi imprese inquinanti (tra i suoi principali sostenitori)” – ha rimosso la crisi climatica. Bush – scrive Al Gore – “è arrivato addirittura a censurare alcuni stralci di una relazione ufficiale dell’Epa sul riscaldamento globale, sostituendovi passaggi tratti dal documento della Exxon Mobil”. Nel 2007 – in un Iraq devastato dalla guerra civile in cui l’unico edificio pubblico protetto dalle truppe Usa era il Ministero del petrolio civile “Bush (pur essendo gli Stati Uniti ancora la potenza occupante) ha fatto redigere e approvare dal parlamento iracheno una legge che garantisce alla Exxon Mobil, alla Chevron, alla Bp e alla Shell, un accesso privilegiato agli enormi profitti attesi dallo sfruttamento dei vasti giacimenti petroliferi iracheni”. C’è poco da sorprendersi – quindi – se una volta insediatosi, il Presidente americano Bush ha rifiutato di ratificare il Protocollo di Kyoto, benché gli scienziati fossero giunti alla conclusione pressoché unanime sul fatto che la crisi climatica avrebbe amplificato la potenza distruttiva degli uragani (cosa poi successa ad esempio con la potenza devastante del Katrina a New Orleans) e avrebbe provocato la messa in moto di un effetto serra incontrollato, incendi, uno scioglimento della tundra glaciale della Siberia e di ghiacciai in Groenlandia, ecc. ecc.
Successivamente, a differenza di Bush, il Presidente Obama si è molto impegnato sulle questioni climatiche. E – insieme agli Europei e anche grazie a un suo accordo con la Cina – ha reso possibile anche il varo dell’Accordo di Parigi alla Cop 21: quello stesso accordo che Donald Trump (nella sua esaltazione di posizioni nazionaliste, e unilaterali) sembra ora voler rimettere in questione. Fin da subito il neo presidente Usa ha dimostrato di considerare la tutela dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico in coda alle sue priorità. Ha nominato al vertice dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) Scott Pruitt, un negazionista climatico che, come procuratore generale per lo Stato dell’Oklahoma, si era distinto per gli attacchi contro la stessa Agenzia che ora dirige. Il 16 marzo scorso – presentando la sua prima finanziaria – il Presidente Donald Trump ha annunciato tagli pesantissimi per l’Epa (che dovrà fare i conti con una riduzione del 30% del suo budget). Appena due settimane dopo – il 28 marzo 2017 – ha firmato l'”Energy Independence”, un ordine esecutivo, in favore delle inquinanti fonti fossili, che cancella buona parte delle iniziative adottate dall’amministrazione Obama sul cambiamento climatico, dando il via al processo legale che dovrebbe portare al ritiro e alla riformulazione del “Clean Power Plan”, voluto da Obama e diventato legge nell’agosto 2015.
In aprile – primo segnale, al di fuori dei confini Usa, dell’inversione a U sul clima intrapresa dal presidente Trump – il G7 dell’Energia (che il 9-10 aprile 2017 ha tenuto occupati i ministri competenti di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Usa e Commissione Ue) non ha potuto varare una Dichiarazione congiunta perché l’Amministrazione americana ha detto che sta svolgendo un processo di revisione delle politiche inerenti il cambiamento climatico e l’accordo di Parigi, e quindi si riserva sulla sua posizione. Passa da Roma il primo atto internazionale della crociata di Donald Trump contro gli ambientalisti. Ma – negli Stati Uniti – nell’era Trump 25 città riunite nel Sierra Club hanno già adottato un programma per arrivare a consumare solo energia rinnovabile. E non manca l’impegno ambientalista di chi lo ha sempre profuso…
L’EUROPA NON ACCETTA PASSI INDIETRO – “L’Europa rispetta le opinioni di tutti – ha sottolineato il premier Gentiloni – ma non accetta passi indietro sulle scelte strategiche che abbiamo compiuto sui cambiamenti climatici, a partire dalla Cop21 di Parigi”. “L’accordo di Parigi sul clima – ha commentato, da parte sua, anche il Presidente francese Hollande – è irreversibile, ci sono ancora delle reticenze. Ma l’Europa deve far sentire la sua voce”. “L’impegno a implementare l’accordo di Parigi – ha precisato il ministro Calenda a conclusione del G7 energia (aprile 2017) – rimane forte e deciso da parte di tutti i Paesi del G7, salvo gli Stati Uniti”. Da parte sua – per dimostrare con fatti concreti che intende seguire Accordi internazionali sottoscritti e ratificati dal Parlamento – il governo Italiano ha l’occasione della nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) che sarà presentata il 27 aprile 2017.
“E’ positivo – afferma il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – che, di fronte ai dubbi degli Stati Uniti, l’Italia e l’Europa al G7 Energia non abbiano ceduto di un millimetro rispetto agli impegni presi a Parigi. Senza l’America, responsabile della maggior parte delle emissioni dei Paesi G7, non può esserci una politica efficace contro il surriscaldamento globale: ora misureremo a Taormina e poi al G7 Ambiente di giugno a Bologna la volontà dell’amministrazione Trump di essere protagonista di un impegno morale e insieme del cambiamento di modello economico nella direzione della sostenibilità ambientale”.
All’apertura dell’ultimo giorno di lavori del G7 energia – chiedendo loro di isolare le posizioni negazioniste e anti-scientifiche della nuova amministrazione Trump, rappresentata al tavolo dal segretario di Stato del dipartimento energia Rick Perry” (negazionista climatico) – gli attivisti di Greenpeace hanno consegnato ai ministri delle sette grandi potenze mondiali un gigantesco termometro (simbolo della temperatura del Pianeta che continua a salire): azione pacifica per ricordare ai Paesi quanto sia importante rispettare gli impegni presi alla COP21. Il ministro Calenda ha confermato che c’è la volontà di rispettare gli impegni presi alla COP21 e che l’Italia farà la sua parte. “Ma questo non basta – ha sottolineato Luca Iacoboni, responsabile della campagna clima e energia di Greenpeace Italia – Se davvero vogliamo mantenere l’aumento di temperatura entro i 2°C, o ancor meglio sotto la soglia di 1,5°C, bisogna fare molto di più. E l’Italia, che ha la presidenza di turno del G7, deve dare l’esempio non limitandosi a fare i compiti a casa ma facendo pressione su chi non sembra prendere sul serio i cambiamenti climatici”.
LA CITTA’ FUTURA – E – inutile ricordarlo – nella lotta ai cambiamenti climatici anche le città hanno un ruolo importante. A livello europeo e internazionale sono già molte le città che hanno avviato programmi e iniziative in direzione green. Ad esempio – sottolinea la Fondazione dello sviluppo sostenibile” – “Copenhagen, nel 2009, ha fissato l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2025; Amburgo ha pianificato una rete ciclo-pedonale alla quale sarà riservata la circolazione nel 40% della città entro il 2035; negli Stati Uniti, nell’era Trump, 25 città riunite nel Sierra Club hanno adottato un programma per arrivare a consumare solo energia rinnovabile, puntando a raggiungere l’adesione complessiva di 100 città; il “Programme National de Rénovation Urbaine” della Francia che ha attivato la rigenerazione di 530 quartieri in tutta la Francia, con circa 4 milioni di abitanti, con un fondo economico, in partnership pubblica e privata, di oltre 40 miliardi. In Italia invece, dopo una certa vivacità con il movimento delle Agende 21 locali nato con la Conferenza ONU del 1992, dopo il Protocollo di Kyoto del 1997 e con l’adesione al movimento del Covenant of Mayors, lanciato dalla Commissione Europea nel 2008, abbiamo avuto un periodo di stallo e di scarsa iniziativa delle città italiane che, a parte rarissime eccezioni, sembrano poco coinvolte nel fervore green che invece caratterizza molte città a livello europeo e internazionale”. Al rilancio del loro ruolo vuole contribuire anche “La Città Futura”- Manifesto della green economy per l’architettura e l’urbanistica – tuttora aperto a adesioni. Questa la road map contenuta nel Manifesto:
1.Puntare sulla green economy per affrontare le sfide delle città
2.Affrontare la sfida climatica con misure di adattamento e di mitigazione centrate sulla riqualificazione bioclimatica ed energetica
3.Fare della tutela del capitale naturale e della qualità ecologica dei sistemi urbani la chiave del rilancio di architettura e urbanistica
4.Tutelare e incrementare il capitale culturale, la qualità e la bellezza delle città
5.Promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione del patrimonio esistente
6.Qualificare gli edifici pubblici con progetti innovativi e con la diffusione dell’approccio del ciclo di vita
7.Progettare un futuro desiderabile per le città