di
Silvana Paruolo
A oggi, al ruolo sempre più rilevante delle imprese multinazionali – e delle catene di fornitura (nel cui interno, troppo spesso, i diritti umani vengono dimenticati o violati) – corrispondono i limiti degli strumenti esistenti. Bastino qui pochi esempi: (1) 24 aprile 2013, Rana Plaza Dacca, Bangladesh, oltre 1200 persone sono morte nel crollo di una fabbrica di otto piani, nei quali i lavoratori operavano per marchi tessili occidentali – prima del crollo, al Rana Plaza era stata concessa l’idoneità e una valutazione positiva; (2) stessa cosa per Ali Enterprises prima che fosse distrutta dall’incendio che ha causato la morte di 254 lavoratori. Ed è evidente che i salari bassi e l’eccessiva lunghezza degli orari di lavoro non sono la prerogativa di un unico Paese e di un’unica Regione. Che fare – allora – per una migliore sostenibilità anche delle catene di fornitura, a livello nazionale (anche in Italia) o che si agganciano a catene di altri Paesi? Di certo, i sindacati – e campagne di denuncia – hanno un ruolo da svolgervi. Inoltre, i meccanismi esistenti andrebbero resi più evoluti, a partire forse dalla richiesta di rendere obbligatorio – per le imprese, nel quadro della cosiddetta Responsabilità Sociale delle imprese – l’inserimento nei propri Bilanci sociali di eventuali ricorsi nei loro confronti (per violazione dei diritti umani) presso i Punti nazionali di contatto dell’OCSE, o in altri contesti.
Di catene di fornitura (e altro) si è discusso anche a Ginevra – in casa OIL(Organizzazione internazionale del lavoro) – dal 28 maggio all’11 giugno 2016, sia in plenaria che in una Commissione ad hoc. E resta da vedere se qualche istituzione produrrà un Quadro sinottico di carattere comparato, di quanto finora deciso, in materia, a livello internazionale. Ciò detto, facciamo il punto sullo stato dei lavori in corso quale emerge da alcuni studi, iniziative, prese di posizioni e simposi, recenti.
I. ACCORDI TRANSNAZIONALI EUROPEI .. E CES (CONFEDERAZIONE EUROPEA DEI SINDACATI) – Nel 2012 (oggi sono di più) erano stati censiti 220 Accordi transnazionali: alcuni sottoscritti dalle Federazioni europee, altri dai Comitati aziendali europei, altri da entrambi. Di questi Accordi (a differenza di altri) alcuni sono Accordi con impegni vincolanti. Altri definiscono – a livello nazionale o di stabilimento- procedure per la loro applicazione. Gli Accordi possono riguardare informazione e consultazione di lavoratori ma anche salute e sicurezza, sviluppo sostenibile, formazione, diritti fondamentali e comportamenti eticamente apprezzabili dai grandi gruppi, parità di genere, processi di ristrutturazione e anticipazione del cambiamento, regole per premi di risultato o produttività, misure insolite di tutela dei lavoratori con soluzioni flessibili nell’organizzazione del lavoro essenziale per garantire rapidità nelle trasformazioni delle imprese, gestione previsionale degli impieghi e competenze, task force incaricate di gestire strategicamente una banca dati sulle professioni e posti di lavoro all’interno del gruppo ecc.
Gli Accordi pongono una forte enfasi sull’individualizzazione di opportunità da offrire nell’arco del rapporto di lavoro. Facile immaginare che questo percorso si presenti alternativo al conflitto. Nè si può sottacere che esula completamente dai contenuti degli accordi transnazionali la materia salariale. Ad oggi – al di là dell’enfasi Ue sulla moderazione salariale – il salario resta ancora competenza di contrattazione e regolamentazione nazionale, benché monitorata a livello internazionale. Nel 2013, alla fine, anche la Germania ha adottato un salario minimo (fino ad allora contrastato dai sindacati tedeschi).
Sugli Accordi transnazionali europei, il Segretario generale della CES, Luca Visentini, ha di recente predisposto una bozza di documento (un testo di 12 articoli) che potrebbe costituire il corpo di una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio. La bozza di documento è finalizzata a individuare gli elementi minimi necessari da considerare nella stesura di un Accordo transnazionale europeo. La Confederazione europea dei sindacati (CES) – alla Commissione europea – ha intanto già presentato un concetto alternativo di “responsabilità obbligatoria per ogni stadio della catena”, nel dibattito sulla Direttiva 67 sui lavoratori distaccati del 2014.
II – ACCORDI QUADRO GLOBALI (GFA – GLOBAL FRAMEWORK AGREEMENTS) E LE CATENE GLOBALI DI FORNITURE (GSC) – Molti studi in materia giungono alla conclusione che occorre migliorare la qualità degli accordi. Di recente, Felix Hadwiger (Department of social sciences – University of Hamburg) ha fatto una panoramica di Accordi quadro globali (GFA) firmati tra il 2009 e il 2015. Delle 54 imprese nel campo di ricerca, 43 hanno la sede in Europa; 2 in Brasile, come pure in Indonesia, Giappone e Sud Africa; 1 in Malesia, nella Federazione Russa e negli USA. Circa il 50% dei GFA esaminati sono stati negoziati da Industrial All e 26% da UNI Global Union; i restanti sono stati firmati da BWI e IUF. La ricerca di Hadwiger si è posto due quesiti cui rispondere: a. quali riferimenti alle catene globali di fornitura (GSC) sono inclusi nei testo dei GFA? b. e in che modo i GFA riescono ad esercitare nel concreto un effetto sulle catene globali di forniture? Ne è uscito fuori un raggruppamento in quattro tipi di Accordi:
· Nessun riferimento alla catena di fornitura
· Informare e incoraggiare i fornitori e i subappaltatori
· Cessazione del rapporto contrattuale in caso di violazione delle norme contenute nell’accordo. Molti GFA prevedono un sistema di avvertimenti e sanzioni nel caso di violazioni. ”Tuttavia nella maggior parte dei GFA non è molto chiaro quale tipo di sanzione verrà applicata, o se le sanzioni vadano applicate solo in caso di violazione grave, o per qualsiasi livello di violazione. In alcuni accordi si può desumere dalla formazione della norma che le sanzioni verranno applicate solo quando il fornitore sia trovato inadempiente rispetto alle Norme internazionali dell’OIL o ai diritti umani fondamentali; sembra quindi che questi accordi non includano tra le violazioni passibili di sanzioni quelle riferite ai principi sanciti da altri strumenti internazionali o relative alle altre disposizioni dell’accordo. La rescissione del contratto può essere formulata come un obbligo ineludibile o come un obiettivo da realizzare” (v.Svenka Cellulosa AB (SCA)-IndustrialALL e Securitas-UNI)
· Riferimento all’intera catena globale di fornitura: quindi non solo a fornitori e subappaltatori diretti della multinazionale, ma anche fornitori e subappaltatori dei fornitori e subappaltatori diretti della multinazionale – E’ il caso di accordi con EDF, PSA Peugeot Citroen, Inditex, Total, Lafarge e Enel -Linee aeree CSA-Cech Airlines Royal BAM e Triumph International.
III. LA DICHIARAZIONE SINDACALE PER IL VERTICE DEL G7 DI ISE-SHIMA GIAPPONE (26-27 MAGGIO 2016) – Anche nel 2016 il dover “garantire il lavoro dignitoso nelle catene di forniture globali “ figura tra quanto i sindacati di tutto il mondo ritengono prioritario. “Questa forma dominante del commercio globale che rappresenta il 60% della produzione”- precisa la Dichiarazione indirizzata al G7 2016 – contribuisce alla disuguaglianza con salari bassi, con il lavoro precario e spesso insicuro. La ricerca della Confederazione internazionale dei sindacati (Rapporto sullo scandalo delle catene di fornitura del 2016) dimostra che in 50 delle più grandi multinazionali soltanto il 6% della forza lavoro è direttamente occupata”. Tra l’altro, questa Dichiarazione invita i Capi di stato e di governo a rafforzare i Punti di Contatto nazionale delle Linee guida Ocse. E ricorda che – stando alle norme in vigore – tutte le multinazionali dovrebbero mettere in atto due diligence dei diritti umani (si tornerà su questa tema più avanti) e porre rimedio agli impatti negativi sui diritti umani. Sarà bene ricordare che che i sindacati esprimono le proprie priorità, anche nel quadro del G20 L (Gruppo lavoro) dei G 20.
IV. ALTRI STRUMENTI INTERNAZIONALI – Il rapporto tra imprese globali e condotta responsabile, a oggi si muove in un contesto di “soft law”. Le Linee guida dell’Ocse e i Principi guida per le imprese e o diritti umani promuovono norme di condotta aziendale, che includono i diritti umani-prevenzione o mitigazione di atti lesivi.
1. Linee guida OCSE sulle multinazionali (per cui esiste anche una Guida sindacale ) per il cui rispetto i Paesi firmatari devono istituire un Punto nazionale di contatto per istanze di Ricorso, qualora vengano riscontrate violazioni delle Linee guida. I Punti nazionali di contatto sono – quindi – sistema di supervisione dell’applicazione delle Norme dell’OIL e per la risoluzione delle controversie. Le Linee guida OCSE sono state firmate da 44 Stati (i 44 saranno ben presto 46). Tra i paesi che non hanno firmato ci sono anche Russia e Cina. I paesi firmatari devono avere un Punto nazionale di contatto. Grazie alle Linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali è quindi possibile avviare un’Istanza di Ricorso presso il Punto nazionale di contatto (attualmente, c’è in calendario un esame – da parte dell’OCSE- del Punto nazionale di contatto in Italia che sembra essere, rispetto ad altri PNC, un PNC virtuoso).Qualche esempio per capire di cosa si parla? Se un’impresa italiana in Francia non rispetta le Linee guida, l’istanza va presentata in Francia, Paese firmatario. Se un’impresa francese viola le Linee guida in Italia, l’istanza va presentata in Italia, paese firmatario. Se un’impresa viola le Linee guida in Russia, in Cina – cioè in paesi non firmatari – lì non ci sono Punti nazionali di contatto. Se un’impresa cinese le viola in Italia, la questione è controversa… perché la Cina non è firmataria, ma l’Italia sì. Ad oggi ci sono stati 179 ricorsi, a livello globale. E non tutti sono giunti a buon fine. E – comunque, in caso di ricorso, l’ultima parola spetta alle imprese: anche se convocata, un’impresa può non presentarsi. E – in caso di mancato accordo tra le parti – è il Punto nazionale di contatto (PNC) che decide cosa rendere pubblico in merito a questo ricorso e i suoi esiti.
2. Principi guida dell’ONU per le imprese e i diritti umani (pubblicati nel 2011 come l’aggiornamento delle Linee Guida) stabiliscono chiaramente che un’impresa deve assumersi la responsabilità delle condizioni di lavoro in tutta la catena di fornitura dei propri prodotti, a prescindere dal luogo dove venga svolto il lavoro e dal rapporto di lavoro che ha (e non ha) con i lavoratori. Ma questo è ostacolato anche da contesti in cui ciascuna impresa opera.// In questo contesto è stato creato il Gruppo di lavoro ONU su impresa e dirittti umani (veicolo di esame e risoluzione delle controversie).
3. Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) – Da notare che per le Convenzioni Oil ratificate , c’è un Sistema di monitoraggio, ma non esistono, ad oggi, vere e proprie sanzioni per i casi di violazione delle stesse. In sintesi, dalle conclusioni del Simposio internazionale dei lavoratori su Lavoro dignitoso nelle catene globali di fornitura dell’OIL ( 15-17 dicembre 2015) emerge l’opportunità di:
· un quadro programmatico nazionale che individui i vuoti normativi in materia
· politiche nazionali basate sul Global Jobs Pact
· ratifica di Norme internazionali del lavoro (ILS)
· rilancio della collaborazione con l’OMC
· responsabilità delle multinazionali e il loro obbligo di rispettare le Norme internazionali del lavoro (ILS), e in particolare le Convenzioni fondamentali dell’OIL
· sviluppo di un dialogo sociale e relazioni industriali all’interno dell e GSC
· rilancio della collaborazione con l’OMC e monitoraggio di accordi commerciali e investimenti
· l’aggiornamento della Dichiarazione Tripartita dell’OIL sulle imprese multinazionali e la politica sociale (un nuovo meccanismo di follow-up fondato sulle pratiche di mediazione e arbitrato, e per la risoluzione delle controversie)
· adozione di una Convenzione o una Raccomandazione dell’OIL sulla due diligence nelle GSC, con particolare riferimento alla versione aggiornata della Dichiarazione OIL sulle multinazionali .
Le Linee guida dell’OCSE e i Principi guida per le imprese e i diritti umani promuovono norme di condotta aziendale, che includono i diritti umani (prevenire o mitigare impatti lesivi dei diritti umani direttamente collegati alle operazioni delle imprese): è il processo delle due diligence. Questo processo (le pratiche di due diligence attuate in vari settori tra cui gli audit finanziari, produzione e di management) non sostituisce in alcun modo le Norme fondamentali del diritto dei lavoratori, ma deve essere considerato uno strumento che ne supporta l’attuazione. “Riusciamo – ci si chiede nelle Conclusioni del Simposio – a sviluppare un concetto di “due diligence dei lavoratori” che non metta in secondo piano le relazioni industriali (a livelli diversi) e un secondo tavolo con le Multinazionali dove i lavoratori attuano una “due diligence dei lavoratori” ed espongono le proprie argomentazioni, per imporre alle imprese l’obbligo di accettare la responsabilità per le violazioni dei diritti dei lavoratori?”. Come già precisato, la CES ha presentato un concetto alternativo di “responsabilità obbligatoria per ogni stadio della catena”..
In campo c’è, quindi, anche la proposta di dare nuovo slancio alla Dichiarazione Tripartita dell’OIL sulle imprese multinazionali e la politica sociale che a oggi non cita esplicitamente le catene di fornitura; il cui sistema di follow-up (sostanzialmente un’indagine annuale da condursi ogni 4 anni su scala globale) – precisa, in sintesi, Anna Biondi (OIL) in una sua recente pubblicazione – si è dimostrato inadeguato per lo scopo ( per lo scarso numero di risposte a questo esercizio globale) e la cui procedura di risoluzione delle controverse si è rilevata farraginosa e difficile da utilizzare. Per superare l’impasse su queste problematiche – sottolinea ancora la Biondi (Oil) – sono state prese queste decisioni: la creazione di uno Sportello (Helpdesk) per le imprese sulle Norme fondamentali del lavoro che integra le informazioni del sito web; e una nuova modalità di follow-up (azioni concordate) per promuovere i principi della Dichiarazione. Dall’aggiornamento di questa Dichiarazione dovrebbe emergere un meccanismo di risoluzione delle controversie agile e robusto. Poiché né i membri dei PNC (OCSE) né gli esperti del Gruppo di lavoro ONU su impresa e diritti umani non si ritengono – anche se disponibili a conciliare le posizioni – esperti nell’interpretazione delle norme OIL questa proposta di rilancio mira a ridare, all’Agenzia ONU che si occupa del mondo del lavoro, i propri spazi.
IV – ALTRO. .. – Né vanno dimenticati: a. l’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) in cui si cerca di costituire una serie di norme private per il mondo del lavoro b. la Responsabilità sociale delle imprese (RSI) – Codici di condotta volontari e Audit sociale con relativi rapporti – e iniziative volontarie di imprese in ambito di Responsabilità sociale, e la Strategia della Commissione Europea sulla responsabilità sociale.
Linee guida ISO 26000 sulla Responsabilità sociale e UNI – L’ISO 26000 è una norma volontaria pubblicata nel 2010 alla cui redazione hanno contribuito il Sindacato internazionale e organizzazioni dei lavoratori di numerosi Paesi (ivi incluso l’Italia)insieme con Associazioni imprenditoriali, Organizzazioni dei consumatori, ONG, Amministrazioni pubbliche e il mondo della ricerca e della consulenza. L’Ente italiano di normazione-UNI, ha appena pubblicato (maggio 2016) un documento su come attuare i principi della Responsabilità sociale nelle imprese italiane, che sarà presentato il 21 giugno a Milano, dove si parlerà (tra altro) dell’applicazione dei principi della sostenibilità anche alla catena di subfornitura.
L’OIL ha bocciato la Bozza di Norma ISO 45001 sulla gestione della salute e sicurezza al lavoro in discussione dal 2013 – Nonostante la norma ISO sia uno strumento non vincolante e senza alcuno status legale, la possibile approvazione di questa bozza di norma ha suscitato molte preoccupazioni, perché di fatto gli standard tecnici sono sempre più utilizzati dalle imprese come alternative agli standard e alle norme. La collaborazione avviata sulla base di un Memorandum of Understanding OIL/ISO – in sede OIL – è oramai considerata un fallimento. “Vi sono aspetti di ISO/DIS 45001, riguardanti il mandato dell’OIL – commenta l’Organizzazione internazionale del lavoro (che continuerà a partecipare al processo di approvazione della norma) – che confliggono con quanto previsto dal MoU, secondo cui gli standards ISO, riguardanti il mandato dell’OIL, devono rispettare e sostenere le norme ILS e la relativa azione dell’OIL, anche utilizzando gli ILS come (fonte) punto di riferimento in caso di controversia. (…) ISO/DIS 45001 non rispetta e sostiene i principi fondamentali degli ILS che l’obiettivo minimo di un sistema di gestione efficace su SSL debba essere l’osservanza delle leggi nazionali, dei regolamenti e di altri requisiti legali”.