La corte di cassazione, con la sentenza n.21160 del 19 ottobre 2016, ha confermato l’orientamento che ritiene dovuta l’ICI in ragione del fatto che l’area in oggetto – in tutte le particelle catastali di riferimento – ha natura edificabile, in quanto inserita come tale nel PRG. Non deve considerarsi motivo di esenzione la avvenuta requisizione dell’area da parte del Comune a seguito di evento sismico, in quanto deve escludersi che la circostanza possa esimere dal pagamento dell’imposta,
“in quanto presupposto dell’imposta è il possesso dei cespite fino alla data di espropriazione e di trasferimento del bene”.
Questa affermazione si pone in linea con l’orientamento di legittimità formatosi in tema di ICI su terreni fatti oggetto di occupazione di urgenza nell’ambito del procedimento di espropriazione per pubblica utilità, ma sulla scorta di considerazioni valevoli anche per l’istituto della requisizione temporanea d’urgenza di bene immobile (c.d. requisizione d’uso). Si è in proposito affermato che:
“l’occupazione di urgenza, per il suo carattere coattivo, non priva il proprietario del possesso dell’immobile, in quanto il bene, finché non interviene il decreto di esproprio o comunque l’ablazione, continua ad appartenere a lui – tanto che per tal motivo gli si riconosce un’indennità per l’occupazione – mentre nell’occupante, che riconosce la proprietà in capo all’espropriando, manca l’ “animus rem sibi habendi”, onde lo stesso è un mero detentore. Ne consegue che il proprietario é soggetto passivo dell’ICI ed è, quindi, obbligato a presentare la relativa dichiarazione, anche se l’immobile è detenuto da terzi” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21433 del 12/10/2007; così Cass. 10686/05; Cass. 4753/10).
Nel caso di specie quindi l’obbligo sussiste anche nel caso in cui il terreno sia detenuto dalla pubblica amministrazione a causa della requisizione.
La sentenza della C.T.R. veniva altresì impugnata per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per violazione dell’articolo 5 co.5 d.lgs. 504/1992 e cioè per avere la commissione tributaria regionale omesso di rilevare che il valore venale del suolo stabilito dal Comune quale base imponibile non rispondeva ad alcuno dei parametri estimativi vincolanti di cui alla disposizione citata. La commissione tributaria regionale non ha esplicitato alcunché sui criteri di valutazione dell’area ai fini ici, così come adottati dal Comune nell’avviso di accertamento opposto; limitandosi a ritenerli congrui senza addurre, in proposito, argomentazione alcuna.
Per la Suprema Corte, il Giudice di Secondo Grado ha omesso di verificare – così come le era stato richiesto – la rispondenza del valore determinato dal Comune nell’avviso di accertamento ai criteri previsti dall’articolo 5 co.5 d.lgs. n.504/1992 (valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, avuto riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree con analoghe caratteristiche). Tale valutazione a maggior ragione si imponeva nel raffronto della stima operata dal Comune con gli opposti elementi valutativi forniti dalla stessa contribuente, ed insiti nel vincolo di destinazione derivante dalla requisizione dell’area nell’ annualità di riferimento. La requisizione, quindi, pur non mandando esente il terreno dall’imposizione ICI incideva tuttavia sul valore venale di comune commercio dell’immobile e, in tal senso, doveva la commissione tributaria regionale prendere in esame altresì la CTU disposta nel giudizio civile di rilascio avanti al tribunale e prodotta in giudizio dalla contribuente.