Il mancato esercizio da parte del Governo della delega di cui all’articolo 10 della Legge n.23/2014 destinata al riordino della Riscossione delle entrate locali, e l’ulteriore (ottavo) rinvio al 30 giugno 2016 dell’uscita di EQUITALIA, hanno prolungato la delusione in capo alle migliaia di Enti i quali confidavano nei decreti attuativi onde potere finalmente procedere con la necessaria chiarezza alla definitiva scelta della forma di gestione delle proprie risorse economiche.
In tale situazione di stallo, ai Comuni non resta che continuare ad avvalersi della disciplina vigente, che tanti problemi ha causato nel periodo quasi ventennale della sua applicazione. Il settore, infatti, soggiace alle disposizioni contenute nell’articolo 52 del D.Lgs n. 446/1997, il quale attribuisce agli Enti il potere per la regolamentazione dell’accertamento e della riscossione di tutte le proprie entrate, sia tributarie che patrimoniali, e la possibilità di scelta della forma di gestione tra le seguenti opzioni:
– gestione diretta svolta con la propria struttura organizzativa o con una società “in house”, cioè con il cento per cento del capitale dell’ente stesso, sulla quale venga esercitato un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ed a condizione che la società realizzi la maggior parte delle proprie attività per conto dell’ente controllante e svolga tali attività esclusivamente nel territorio dell’ente;
– affidamento mediante gara pubblica ad una società mista con capitale maggioritario dell’ente e la scelta del socio minoritario avvenga tra i soggetti facenti parte dell’Albo Ministeriale di cui all’art. 53 dello stesso decreto;
– affidamento mediante gara pubblica da svolgere tra i soggetti dell’Albo Ministeriale.
In tutti i casi sopra indicati, lo strumento per la RISCOSSIONE COATTIVA, è quello della INGIUNZIONE , disciplinata dal R.D. n.639/1910, cui è riconosciuta la natura di TITOLO ESECUTIVO. L’utilizzo del RUOLO è invece riservato per la riscossione coattiva svolta da EQUITALIA, che, come detto prima, potrà occuparsi delle entrate locali solo fino al 30 giugno 2016.
Tra le difficoltà emerse nell’applicazione della normativa vigente spiccano le modalità per lo svolgimento delle gare, con riguardo all’obbligo o meno del rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n.163/2006, che disciplina i contratti pubblici per le forniture, gli appalti ed i servizi nell’ambito delle Direttive Comunitarie.
Molto spesso è accaduto, ed accade, che i Comuni nel deliberare le procedure di gara recepiscono in toto le disposizioni del suddetto decreto, molte delle quali però non si attagliano al conferimento delle attività del settore, le quali assumono la natura giuridica della CONCESSIONE, con l’attribuzione al soggetto affidatario dell’esercizio di pubbliche funzioni dell’accertamento e della riscossione. Peraltro, la necessità per gli operatori affidatari di avere l’iscrizione nell’Albo è proprio diretta a garantire il possesso dei requisiti di natura economica, organizzativa e di competenza per svolgere tali importanti e delicate funzioni.
E’ pur vero che l’articolo 30 del D.Lgs n.163/2006 espressamente dispone la non applicabilità alle CONCESSIONI DI SERVIZI di tale disciplina, ma la mancata attenta disamina delle norme da parte delle Amministrazoni ha prodotto nel tempo un consistente contenzioso. Ad esso ha fatto riscontro una ormai consolidata giurisprudenza orientata a ritenere che non trovano in alcun modo diretta applicazione le norme del Codice, salvo che possano configurarsi quali principi fondamentali generali dei pubblici contratti quali, ad esempio, la proporzionalità, la ragionevolezza, l’adeguatezza. Da cui, la necessità, appunto, del rispetto della massima pubblicità del bando, della indicazione dei requisiti di partecipazione, della capacità economica proporzionale al valore della concessione, della base dell’offerta economica tale da garantire lo svolgimento di servizi rispondenti ad esigenze della migliore efficienza con il riconoscimento del giusto utile all’aggiudicatario,ecc. Non è invece da ritenere applicabile, ad esempio, l’istituto dell’avvalimento, che consente al concorrente che ne sia sprovvisto di avvalersi di requisiti posi a disposizione da altro concorrente ( a sua volta non partecipante alla gara): ciò costringerebbe il Comune a dover esercitare il proprio controllo non solo sulla azienda concessionaria, ma anche su adempimenti dell’altro soggetto che ha “concesso in prestito” servizi all’aggiudicatario.
Va infine fatto presente che al momento attuale, nell’ambito delle norme che per otto volte hanno disposto il rinvio dell’uscita di Equitalia dal settore della riscossione delle entrate locali, viene contestualmente prevista per i Comuni la possibilità di prorogare i contratti con i quali hanno affidato in concessione l’attività di accertamento e/o riscossione di tutte o alcune delle proprie entrate e, tale proroga si va trascinando, come è noto, da molti anni fino al 30 giugno 2016. È vero che i Comuni hanno comunque la possibilità di non accordare la proroga e procedere a nuova gara per il riaffidamento del servizio, oppure di riassumere la gestione diretta, ma nell’aspettativa dell’auspicato riordino gli Enti hanno preferito, magari per non impelagarsi in ulteriori procedure, rimanere nella situazione attuale. Si consideri che circa il cinquanta per cento dei Comuni in Italia hanno proceduto ad esternalizzare i servizi in questione e gran parte di questi sono scaduti e prorogati. Ecco perché da molte parti, a cominciare dall’ANCI, da tempo si rappresenta la necessità dell’intervento del Governo a dare soluzione al problema, onde fornire ai Comuni elementi di certezza legislativa sull’assetto del sistema di acquisizione delle proprie entrate.